Articoli Retail: F come Feedback
Sul Quaderno Retail torna anche uno dei contributors “storici” di Weconomy: l’Interaction Designer Leandro “leeander” Agrò, con un articolo sul Feedback come elemento portante del digital design dell’esperienza di acquisto. Leggi qui la versione integrale!
Di seguito la versione integrale del contributo di Leandro Agrò, Interaction Designer & Manager e collaboratore della prima ora del progetto Weconomy, per il numero 3 dei Quaderni “Empowerment, Feedback, Gamification: c’era una volta il Retail?”:
L’architrave più potente del web 2.0 è la possibilità di ottenere un feedback senza cambiare pagina. Il feedback può essere un cambiamento nella stessa interfaccia (che evolve in una vera e propria applicazione) ma – altrettanto e forse più spesso – il feedback è rappresentato da un evento che è conseguenza della co-presenza di altri utenti sulla pagina. Così, un LIKE o un commento altro non sono che un segno della presenza degli altri e – come conseguenza- la pagina diventa immediatamente un luogo. Il web 2.0 è un continuum di luoghi.
Se una pagina è un luogo, come uno store è un luogo, allora non può stupirci il fatto che abbiamo cominciato ad adottare comportamenti che sono figli della nostra esperienza digitale anche negli store fisici e viceversa. Le prime incursioni della tecnologia digitale negli store fisici non sono partite dai negozi ma, ovviamente, dai clienti. In principio è stato un utente che chiamava la moglie che stava in uno store diverso. Poi è diventato il confronto dei prezzi in-store con quelli online. Successivamente la lettura dei ratings o la ricerca – in tempo quasi reale – del commento di una amica su un capo di abbigliamento appena fotografato e postato su Facebook. Per un certo periodo, questo enorme dialogo tra clienti presenti e remoti, ha coinvolto lo spazio ed il brand dello store, SENZA che questo fosse parte attiva. Oggi sappiamo che i mercati sono conversazioni e sappiamo valutare quanto l’auto-estromissione da questo dialogo possa avere delle concretissime conseguenze nel business. Consapevoli dell’opportunità, alcuni retailers tradizionali si sono aperti al digitale, cercando dei trovare la chiave più opportuna per dare feedback continuo ai proprio clienti, durante tutto il loro “viaggio” nell’acquisto di un bene: i primi tentativi figli di un approccio sistemistico per cui il retailer ha provato a sostituire il campo di dialogo autonomo e disorganico usato dai clienti con qualcosa di più consistente ed omogeneo. Di fatto però, che si trattasse di marketing one-to-one sui clienti piuttosto che di un totem interattivo dentro al negozio, questo approccio è stato raramente salutato dal successo. Di fatto, le interfacce digitali hanno un ruolo primario in questi scenari. Il dover apprendere in un contesto pubblico il funzionamento di una nuova interfaccia – pensata dal retailer per un proprio device o servizio – genera spesso una sorta di imbarazzo e di blocco all’utilizzo e alla reale adozione del sistema. Una cosa è usare una interfaccia cool come momento di intrattenimento. Altro è imparare ed adottare LA tecnologia di ogni diverso store per portare a termine compiti che puoi già realizzare con le tecnologie che hai in tasca. Se anche quelle dello store fossero più semplici ed efficaci, non sono quelle che l’utente ha scelto e per le quali ha pagato. Il cliente dello store ha già fatto le sue scelte tecnologiche e di interfaccia adottando la tecnologia che porta in tasca e per la quale ha già pagato con il proprio denaro.
Nella maggior parte dei casi lo store quindi non dovrebbe tenere un approccio tecnologico “proprietario”, quanto semmai provare a focalizzarsi su principi base più profondi e che – almeno in parte – gli sono più propri: accoglienza, evoluzione dei comportamenti, supporto del cliente rispetto al nuovo senso dell’acquistare.
L’accoglienza è uno dei fattori più determinanti per un retailer fisico. Abbiamo imparato da casi di successo il fatto che accogliere in modo speciale – per esempio – le famiglie con bambini, le donne incinte, i clienti più affezionati, i clienti che hanno comprato pochi items etc. abbia molto senso per lo sviluppo del business. D’altro canto, il concetto di accoglienza è forse nato quando gli store hanno compreso che dovevano avere un parcheggio per – appunto – accogliere la tecnologia di trasporto usata dai propri clienti. Adesso però le tecnologie sono diverse e le conseguenze delle tecnologie che usiamo molto più radicate e profonde. Oggi, il punto non è se le loro tecnologie sono iPhone o Android. Il punto è che non abbiamo il diritto di disconnettere una persona dal suo sistema di relazioni o dalla conoscenza che lui ha posto in Rete, solo perché è entrato nel nostro territorio fisico. Essere “accogliente” significa così essere capace di tenere conto e possibilmente fare leva su tutta la sfera digitale che estende ogni singolo cliente che entra in negozio. E visto che non stiamo parlando di uno slot di parcheggio per un telefono ma di accogliere e fare leva su nuovi comportamenti, avendo un ruolo attivo, possiamo immaginare molti scenari: un cliente che mette un LIKE ad un oggetto fisico, oppure che può sapere quanti dei propri amici in Facebook hanno quel prodotto in wishlist. Scaffali che – per prossimità – comunicano le loro offerte speciali proprio a te che hai già acquistato quel prodotto, o a te che vorresti provarlo. Se avete un account Pinterest, quando un vostro amico (in Facebook) apre anche lui un account, voi ricevete una notifica: “hey, anche Giorgio è su Pinterest adesso! Perché non vedi cosa ha postato sul network?”. Certo, sarà interessante osservare la nostra reazione da clienti il giorno che un centro commerciale mi notificherà che anche un mio amico è lì in quel momento.
Uno store fisico che abbia sviluppato dei comportamenti digitali, muta non la sua interfaccia ma la sua essenza. Per questa ragione non sconvolge vedere l’emergenza di retail store completamente digitali – come i grandi cartelloni di Tesco alla fermata della metro – che restituiscono ai clienti un interessantissimo mix di esperienza tradizionale in-store e digitale al tempo stesso. A quel punto lo store può essere ovunque. Può essere a casa nostra, sul divano e dentro un iPad. Ma questo non è solo il porting tecnologico di un sito e-commerce che viene ottimizzato per tablet. Questo è un nuovo design dell’intera esperienza d’acquisto. Un ripensamento dell’itinerario del cliente e dei touch points coinvolti. Supportare il cliente rispetto al nuovo senso dell’acquistare significa infatti accompagnarlo lungo l’intero percorso: dall’informarsi o scoprire un bene o un servizio potenzialmente interessante sino al confronto, la seduzione, il convincimento all’acquisto. Ed anche dopo il momento transazionale, incassato il denaro da una parte e ricevuto il bene dall’altro, sappiamo bene che il percorso è tutt’altro che terminato. Stavolta però non si tratta “solo” di fornire la necessaria assistenza post-vendita o garanzia. Stavolta sarà anche necessario parlare di:
- Eventuale supporto all’utilizzo del bene o servizio;
- Gestione della soddisfazione del cliente e sharing che questi vorrà fare delle sue idee in merito al prodotto;
- Modalità semplificate di ri-acquisto o acquisto di beni correlati (estensione del prodotto);
- Supporto per la gestione del fine vita del bene (ri-valutazione, vendita usato, donazione o smaltimento)…
Tutte attività che in store sarebbero probabilmente economicamente insostenibili, ma che attraverso il digitale e realizzate in modalità self service dal cliente, potrebbero far emergere nuove rilevanti nicchie di business. Attraverso il cambiamento digitale, gli store fisici potranno estendere il loro feedback a luoghi e modalità impensabili sino a qualche anno fa, entrando non soltanto in tasca o in casa dei propri clienti, ma soprattutto avendo l’opportunità di una reale partecipazione alle conversazioni che questi stanno già tenendo.