Society Oltre la pratica. Come si forma una testa pensante?
Un approccio sociologico per comprendere in che modo le caratteristiche comportamentali di una persona possono interagire con l’ambiente, in particolare tra scuola e azienda
- Le skill non sono più competenze standard, sono utili quando differenziano le persone
- Le competenze sono momenti di incontro tra persone, perché "si prendono da chi le ha già"
- Oltre le competenze, è importante lavorare sulle persone, perché siano generatori di cambiamenti positivi
Le skills, inutile sottolinearlo, sono oggi il grande tema di tutti gli ambienti pubblici, da quelli professionali (nei quali siamo chiamati a svolgere specifiche mansioni e per le quali siamo retribuiti) a quelli scolastici (laddove siamo stati, e oggi lo sono i giovani ragazzi, chiamati a sviluppare conoscenza) a quelli informali, siano essi extra familiari o familiari. Le skills, e per dirla con una parola “più volgare”, le caratteristiche comportamentali e quelle relative alle abilità di un soggetto, rappresentano la nostra carta di identità “pubblica”, quella con la quale ci presentiamo a scuola, nei luoghi lavoro, quella per cui possiamo essere preferiti o rifiutati. Le skills sono parametri che differenziano e distinguono. Proprio per la loro caratteristica di differenziazione sono oggi centrali nelle aziende, dove le caratteristiche personali di un soggetto e le sue abilità indirizzano sempre più il lavoro complessivo di una produzione o di un procedimento: a differenza dell’epoca fordista dove la standardizzazione veniva preferita alla creatività, oggi è la differenziazione la parola vincente.
Diventa così necessario comprendere come acquisire le skills necessarie in relazione all’ambiente di riferimento.
In primis, e sembra strano dirlo subito dopo aver parlato di differenziazione, le skills si “prendono” da chi le ha già: imitare i comportamenti, ripeterli, cercando di aumentare il tempo passato con colui che le possiede rappresentano la dinamica più umana, “più semplice” per l’acquisizione delle skills. Questa “acquisizione per osmosi” avviene non solo in ambito professionale ma anche a scuola e/o negli ambienti extra scolastici. Il famoso detto “dimmi con chi stai e ti dirò chi sei”, uscendo da una sua lettura banale, segnala che coloro con i quali scegliamo di trascorrere il tempo della vita indicano anche un modo di voler essere. Inoltre da anni sono attivi specifici corsi (soprattutto a carattere post-lauream) per l’acquisizione di skills, che rappresentano uno strumento utile se affiancato alla pratica quotidiana, perché stimolano l’attenzione e approfondiscono i perché di determinati comportamenti.
Nel passato la standardizzazione veniva preferita alla creatività, oggi la differenziazione è vincente
Inoltre, le soft skill si apprendono anche nei contesti extra scolastici: sin da ragazzi abituarsi a “rendere quotidiano” un impegno con qualcosa, che non sia semplicemente legato alle proprie “voglie” insegna ad essere puntuali, precisi, ordinati, ad adattarsi all’ambiente di riferimento, a prendere le misure e a sviluppare la propria personalità, cioè tutte quelle caratteristiche originali che ci differenziano da chiunque altro. Fino agli anni ’90, questa dinamica veniva ben rappresentata dai ragazzi che durante il periodo estivo si cimentavano in piccoli lavori: il vero guadagno (oltre a quello economico che ha permesso anche il primo impatto con la gestione “dei soldi propri”) è stato quello di imparare a “confrontarsi” con regole non proprie, con indicazioni sulle quali “c’era poco da discutere”. Questa pratica, seppur poi sempre più allentata nel tempo, viene oggi “mutuata” nel modello dell’alternanza scuola-lavoro: tale progetto scolastico avrà tanto più valore/efficacia se permetterà ai ragazzi di imparare a confrontarsi con ambienti esterni. Così potranno scorgere in sé stessi le prime difficoltà del mondo e creativo e imparare a rapportarsi con altri (pari o superiori) fuori dalle mura amiche (siano esse familiari o scolastiche).
Deve cambiare la testa, non tanto la pratica: un cambiamento nel modo di uardare le cose, di pensarle, di osservarle
In ultimo vorrei sottolineare un aspetto che riguarda oggi il tema del reskilling, cioè la possibilità/necessità di riformulare le proprie abilità, di modificare i propri comportamenti, magari intervenendo anche su quelli virtuosi ma ad oggi non più efficaci.
Per non restare intrappolati in cose già sapute, seppur buone, quello che deve cambiare è la testa, non tanto la pratica: un cambiamento del modo di guardare le cose, di pensarle, di osservarle, genera conoscenza nuova su quelle cose stesse.
In questo senso la scuola può rappresentare il miglior alleato delle aziende: formare la testa dei ragazzi, renderla elastica, cioè capace di cogliere l’essenza di tutto ciò che si incontrerà, potrà generare uomini in grado di promuovere cambiamenti positivi, soprattutto, ed è l’aspetto più centrale, in grado di assumersi responsabilità anche quando “il mare è in tempesta”, perché saranno in grado di rendere praticabili “nuovi orizzonti”.