People Candidati e recruiter. Un rapporto in evoluzione
Come il mondo del recruiting sta superando gli approcci standardizzati per valorizzare competenze
e talento
- Anziché sugli elenchi di skill, bisogna focalizzarsi sullo sviluppo della consapevolezza nelle persone
- Il coinvolgimento delle persone è il primo passo, per svilupparlo è importante condividere i valori di dell'organizzazione
- L'adattabilità al cambiamento è una competenze chiave
Come si possono individuare le competenze e le abilità nelle persone, in un contesto in cui il curriculum “racconta sempre meno”?
Al di là del CV, che comunque fornisce informazioni determinanti, l’intervista è sempre più centrale e deve essere strutturata per permettere di indagare i comportamenti realmente agiti dal candidato in diverse situazioni e contesti. È infatti fondamentale individuare le competenze comportamentali in base alle capacità e alle skill che si vogliono analizzare al fine dell’inserimento. Questo tipo di interviste sono normalmente gestite tramite una serie di domande che si basano su esperienze vissute dal candidato, che deve rispondere in maniera precisa, individuando una specifica situazione, l’obiettivo da raggiungere, le azioni che ha compiuto e il risultato ottenuto. L’intervistatore deve avere, ovviamente, la capacità ma anche la giusta empatia nel guidare il candidato cercando di esplorare tutti gli aspetti rilevanti anche in base alla seniority della posizione.
In generale, dando per scontato alcune competenze tecniche alla base del lavoro, è sempre più fondamentale fare interviste che permettano l’emergere delle soft skill e, soprattutto, la capacità del candidato di adattarsi alle diverse situazioni grazie a competenze trasversali diffuse e “allenate”.
Nel contesto attuale, il modo di approcciare skill con lo stesso nome (come il problem solving) cambia a seconda delle realtà aziendali. Come far incontrare le disposizioni personali con i valori delle imprese?
Questo è un aspetto fondamentale che noi, come Gruppo Adecco in Italia, mettiamo in evidenza molto bene soprattutto in fase di primo colloquio. Ripeto spesso che non esiste un engagement genuino se non ci si riconosce nei valori espressi dall’azienda in cui si lavora. E questo ha un impatto molto forte anche nel comprendere e interpretare le diverse skill. I nostri valori di gruppo sono simili a quelli di tante altre aziende ma, nel nostro caso, l’elemento che li lega e che gli dà un significato speciale è un ulteriore valore – o, meglio, un approccio: la passione. Per questo cerchiamo candidati appassionati, che sentano come una loro missione, un grande privilegio e una importante responsabilità fare la differenza per migliaia di persone ogni giorno, non solo trovando loro un lavoro, ma offrendogli anche l’opportunità di fare esperienze e orientarli rispetto al loro futuro. Solo se ci si ritrova in questa descrizione si può veramente capire cosa significhi avere la motivazione e l’orgoglio di far emergere, quotidianamente, i valori che sono alla base della nostra professionalità e individuare di conseguenza le skill necessarie.
Competenze come l'adattabilità al cambiamento e la capacità di autosviluppo sono la chiave
Soprattutto le figure junior non sanno quali skill possiedono e quali possono produrre valore. Come si può attivare questo percorso di scoperta?
I primi colloqui di lavoro sono realmente un modo per scoprire sé stessi e le proprie attitudini e acquisire un fondamentale livello di autoconsapevolezza; si deve cercare di far sentire il candidato a proprio agio in modo che possa emergere un realistico e genuino racconto di sé stessi.
E dal punto di vista del personal branding, come è possibile trasmettere l’unicità di una persona in modo da valorizzare il talento?
L’unicità sta proprio nell’essere sé stessi e nel credere e coltivare le proprie potenzialità. È essenziale arrivare al colloquio preparati rispetto all’azienda, ai suoi valori e al contesto economico di riferimento: questo certamente fornisce un’ottima impressione. Al contrario, i colloqui preparati “a tavolino”, dal punto di vista dell’atteggiamento, non risultano convincenti perché non forniscono una reale fotografia della persona. Sostengo che l’energia vada indirizzata non tanto per indossare delle maschere o aderire a dei modelli standardizzati, quanto per essere efficaci e convincenti nel mostrare l’immagine di sé stessi e nel valorizzare i propri punti di eccellenza.
Se un candidato ha forti potenzialità di crescita, ma manca di uno dei classici “requisiti fondamentali” per una candidatura (una competenza tecnica, per esempio), è ancora un muro insuperabile?
Questo dipende dal tipo di lavoro e ‒ in parte ‒ anche dalla seniority: normalmente sulle posizioni che richiedono un’esperienza più elevata difficilmente si può prescindere da un certo livello di know-how specifico; nel candidato alle prime esperienze è invece la motivazione che fa la differenza. In generale, sempre più competenze “non tecniche” permettono di accedere a opportunità lavorative in ingresso e, soprattutto, di crescere più rapidamente all’interno delle aziende. Da questo punto di vista alcune competenze quali l’adattabilità al cambiamento e la capacità di autosviluppo, forse tra le meno citate oggi, sono chiave all’interno di un’organizzazione. Ovviamente queste premesse non sono valide per professionalità ad alto contenuto tecnico.
Le figure senior spesso hanno un bagaglio convinzioni che deve essere messo in discussione. In questo caso, quali possono essere le strategie più efficaci per il reskilling?
In un’ottica di lifelong learning c’è costante attenzione nel mettere a disposizione tutti gli strumenti per il reskilling individuale attraverso un’approfondita e personalizzata analisi dei bisogni condivisa con il collaboratore. Alla base di questo processo è però altrettanto fondamentale lavorare sull’autoconsapevolezza di questo bisogno: questa è il punto di partenza su cui costruire un percorso di successo. Non meno importanti sono i progetti di reverse mentoring, che abbiamo avviato da tempo all’interno della nostra organizzazione e che permettono una contaminazione positiva tra diversi approcci ed esperienze e, contemporaneamente, a non far disperdere il bagaglio culturale, ma anche la motivazione, dei colleghi più senior.