People Kill Skill. Perché bisogna uccidere le competenze a catalogo?
Perché dare un'etichetta alle persone è limitante. Una riflessione per sviluppare il nostro senso critico sul tema delle competenze
- Le idee crescono e si evolvono attraverso comportamenti quotidiani, non attingendo a cataloghi di competenze "a prova di futuro"
- La consistenza di una persona non si vede attraverso il numero di competenze che possiede, si mostra sempre in azione.
- Superiamo al visione che ci fa soffermare sulle singole persone "brave", per osservare la sinergia del gruppo che funziona e della rete che si attiva.
Una delle scelte che hanno inciso di più nella mia vita è stata circondarmi di persone più brave di me. E così ho fatto, così abbiamo fatto. Non sempre ci riusciamo. Ora dobbiamo metterci d’accordo su cosa vuol dire più brave, perché il punto è proprio questo.
Sappiamo benissimo che, se vogliamo fare la differenza, produrre reale impatto per persone e società, lasciare qualcosa di bello in eredità, abbiamo bisogno degli altri, di persone che sappiano “vedere” la realtà, con curiosità e fame di confronto. E sappiano anche “pre-vedere” quello che oggi non c’è, per immaginare come arrivare a ottenerlo, mixando in primis mestieri e ruoli diversi, per poi “far vedere”, dare forma alle azioni in relazione con gli altri, far esistere – e crescere – un’idea attraverso comportamenti quotidiani.
Le persone più brave non sono fatte di etichette. Il loro essere “più brave” è il “prodotto” di una vita
Non sono mai bastate persone solo in grado di eseguire compiti e – ora più che mai – c’è bisogno di chi sappia comprendere il senso di ciò che fa, anzi di progettarlo, interpretarlo, condividerlo e portarlo avanti con convinzione e sacrificio. Con queste persone nascono le esperienze che ci danno più soddisfazione come imprenditori, come “motivatori dei nostri team”, come professionisti o, semplicemente, come colleghi. Perché così riusciamo a cogliere occasioni, che diventano quei progetti “sangue, sudore e risate”, che arriviamo a portare in fondo, nonostante gli ostacoli, e di cui – alla fine – viene riconosciuto il valore, perché migliorano realmente le cose. Sono quei progetti dove diamo il meglio di noi, insieme al meglio di altri. Le persone, che per definizione sono uniche e quindi non rimpiazzabili, mai come in questo contesto sono cruciali, soprattutto in un mondo che, dominato dalla tecnologia, è alla ricerca di un tocco umano: quella componente originale e non standardizzata che ci rende differenti dalle macchine.
Le persone più brave non sono fatte di etichette. Il loro essere “più brave” è il “prodotto” di una vita
Il ritorno della catena di montaggio (delle skill)
La tecnologia – lo sappiamo bene – ha accelerato le trasformazioni e ha aumentato la densità degli imprevisti che dobbiamo affrontare. Non a caso, tra le competenze del futuro più citate, non ci sono più solo competenze tecniche, ma si stanno affermando con forza le cosiddette human skill: flessibilità, pensiero creativo, intelligenza emotiva, capacità analitiche, decision making. Sono abilità per definizione non misurabili.
Ed ecco che arriviamo alla parola del momento: skill… is the new black. Quali skill “a prova di futuro” hanno le persone più brave? Per trovare una risposta, ci ritroviamo a leggere griglie, gabbie, codificazioni. Suddivisioni in soft, hard, ma anche fusion. Persone spezzettate in puzzle di definizioni. Secondo questo approccio, le skill sarebbero add-on di un software o “requisiti minimi” per far girare un nuovo sistema operativo. E le nostre persone hardware “diminuiti”, da “aumentare”. Definizioni incasellate in fogli Excel, che ci affanniamo a riempire, finché non scopriamo che rimangono tante celle vuote. Ecco il nostro skill shortage, da colmare – in fretta – con ciò che offre l’ultima edizione del Catalogo delle skill più alla moda. Il “Pensiero critico” diventa un corso erogato a folle di persone, condito con moduli formativi sulle metodologie Agile. Nuove procedure che sostituiscono vecchie procedure, fino alla prossima tendenza.
Il limite è il nostro sguardo
Torniamo all’inizio, alle persone più brave. Io, per prima, mi sono resa conto che il più grande limite è il mio, è il nostro sguardo nel vedere le persone. Le persone più brave non sono fatte di etichette. Il loro essere “più brave” è il “prodotto” di una vita, di una biografia. Sono un intero non parcellizzabile, che non emergerà mai da un curriculum. Sono persone con le quali costruire un percorso da fare insieme.
La loro conoscenza è frutto di quello che fanno dentro e fuori il “mondo del lavoro” e le loro abilità ci sono e continueranno a svilupparsi se, nel loro percorso, si misureranno con ambienti, contesti e progetti/sfide che glielo permetteranno.
Un primo punto fermo, quindi, potrebbe essere: non si può partire dalle skill. Il valore/la consistenza di una persona si vede in azione (skills in action). Non ci sono griglie o tabelle che possano rivelarcele. E quindi, che tipo di azioni siamo in grado di ispirare? Che mosse sappiamo provocare? Certamente esistono attitudini, ma anche queste hanno bisogno di un terreno adatto per mostrarsi.
Liberare ispirazione e agire
Lo sguardo di chi ritiene tutti rimpiazzabili è strutturalmente limitato: uomo > output. Anche quando parla di skill e di formazione. È uno sguardo viziato dall’urgenza delle cose e cieco alle possibilità delle persone. E la vera sfida riguarda innanzitutto le persone che abbiamo con noi. Certo, ci sono sfide che esigono gente all’altezza, ma ribaltiamo la prospettiva: noi abbiamo ragioni all’altezza di chi abbiamo attorno?
Tutto ciò condiziona fatalmente ogni discorso sulle skill. Le ragioni che abbiamo, le strade che proponiamo, sono offerte a chi – con la sua storia – entra in relazione con noi e la nostra storia. Qualsiasi offerta di cambiamento (reskill, deskill, upskill) o è capace di entrare in rapporto con la storia delle persone, oppure fallisce.
Le organizzazioni devono ispirare un lavoro su di sé, accettare di farne parte, allo stesso livello superando le gerarchie tradizionali. Questo genera la trasformazione più decisiva, quella delle persone e del loro sguardo. Solo così si possono accettare responsabilità nuove.
Gli ambienti e le reti di relazioni che abilitano le persone
Tutto ciò che di meglio una persona può offrire ci è offerta liberamente. Per questo è indispensabile creare e garantire “contesti di fiducia”, dove le persone si formano e continuano ad apprendere, non solo durante i corsi, ma nelle attività di ogni giorno. La vera sfida della formazione è qui: nel costruire contesti, ecosistemi che coinvolgano le persone in un dialogo e confronto continuo tra individuo e collettività. Qui attitudine, motivazione, permesso e opportunità agiscono per rendere reale, adeguata e creativa l’iniziativa della persona. È così che le skill possono diventare comportamenti, azioni quotidiane, scelte naturali.
La vera sfida è realizzare contesti ed ecosistemi che coinvolgano, motivino e favoriscano l’apprendimento in un dialogo e confronto continuo tra persona e collettività
Ambienti che formano le persone, ovvero che danno forma al loro percorso, che tengano conto della loro unicità e che diano a tutti l’abilità di evolversi, in cui l’apprendimento continuo è parte di una rete di relazioni e di scambio utile e piacevole. Organizzazioni e singole persone hanno bisogno di essere sistemi “imparanti”, dove la cultura di auto-apprendimento continuo significa anche generare occasioni per mettere in azione le proprie abilità. L’apprendimento, così, diventa “conoscenza attivabile” che non risiede necessariamente nel soggetto, ma nella rete, nella comunità.
Superiamo la visione che ci limita a vedere solo le skill, per allargare lo sguardo alla persona. Superiamo la visione che ci fa soffermare sulle skill del singolo “bravo”, per osservare la sinergia del gruppo che funziona, della rete che si attiva. Se il soggetto non sono le skill, ha ancora senso la smania di controllo su come vengono apprese? O diventa più rilevante rendere le persone libere di imparare nel modo migliore che possono? Sapremo che il nostro sistema funziona perché ne leggeremo l’impatto in tutto quello che faranno le persone e che noi faremo con loro.
Certo, ci sono sfide che esigono gente all’altezza, ma ribaltiamo la prospettiva: noi abbiamo ragioni all’altezza di chi abbiamo attorno?
Kill Skill, il tredicesimo Quaderno di Weconomy, desidera essere un’occasione per aiutarvi a elaborare il vostro personale “pensiero critico” sul tema delle skill. È frutto di una ricerca sul campo, a partire da ciò che conosciamo meglio: il punto di vista Logotel, che – da 25 anni – dedica ogni giorno a prendersi cura di oltre 80 mila persone in servizi che accompagnano la trasformazione di persone e organizzazioni. Ed è il risultato di una moltiplicazione dei punti di vista, con un’apertura all’esterno delle nostre riflessioni. Da Londra, a San Francisco, passando da Davos, ci siamo confrontati con ricercatori del World Economic Forum, esperti in modelli di apprendimento, designer, psicologi, imprenditori, realtà di frontiera nel campo dell’intelligenza artificiale, startup, responsabili delle risorse umane, che hanno offerto il loro prezioso contributo.
Potete leggere il Quaderno, ascoltarlo in podcast, scaricarlo e condividerlo… o semplicemente skippare e continuare a pensare ad altro, se potete permettervelo.