UFO. Unidentified Future Organizations La normalità si trasforma a contatto con i clienti
Spostiamo il focus. Nell’ecosistema in cambiamento è importante ripartire dalle abitudini nate durante la pandemia, che danno forma a nuovi bisogni dei clienti. E poi dialogare con i territori, per generare nuovi servizi.
Prima di guardare alle trasformazioni nel nostro modo di lavorare, è importante una constatazione: sono i clienti a guidare i nostri cambiamenti. Perché non siamo noi, come banca, a decidere quali siano i loro bisogni. Se partiamo da questo punto di vista possiamo comprendere il valore più profondo di ciò che stiamo vivendo e guardare in maniera diversa al futuro di una struttura come la Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo.
Nei quasi due anni di cambiamenti innescati dal Covid-19, le persone sono diventate più accorte e preparate. Per imparare a conoscerle al meglio, non possiamo più permetterci di usare semplificazioni e luoghi comuni che, dopotutto, erano già superati nel vecchio mondo. Sappiamo che i cluster tipici delle passate modalità operative del marketing non esistono più e che gli stereotipi generazionali ci mandano fuori strada. L’accelerazione digitale dell’ultimo periodo ha moltiplicato il numero di tracce lasciate dai clienti quando interagiscono con noi. E così possiamo smascherare tanti falsi miti, per esempio la presunta avversione delle persone anziane alla tecnologia. I dati del nostro osservatorio, quello della Filiale Online del Gruppo Intesa Sanpaolo, indicano nuovi comportamenti, che richiedono di pensare a un modo innovativo di garantire e affinare il nostro livello di servizio.
Potenziare la nostra capacità di leggere le informazioni è un elemento sul quale occorre investire. Ma non sarà la tecnologia a salvarci. Perché l’enorme quantità di dati può farci cadere in un’altra trappola: l’illusione del controllo. Quando manca un indicatore che faccia da “stella polare”, possiamo lavorare per giorni nell’analizzare e commentare, ma otterremmo solo un falso senso di tranquillità. Preferisco lasciare in secondo piano indicatori come la durata di una telefonata o i numeri sulle conversioni, perché possono perfino distrarre. Serve un parametro-guida per indirizzare le azioni dei colleghi: noi abbiamo scelto il Net Promoter Score (NPS), perché ci permette di misurare quali, tra le cose che facciamo, soddisfano le aspettative dei clienti, quali quelle che invece li lasciano insoddisfatti e li rendono detrattori, e quanto le nostre iniziative alzino il nostro livello di affidabilità e contribuiscano a renderci raccomandabili e a tenere alta la nostra reputazione. La maggior parte dei reclami che riceviamo, infatti, riguarda proprio gli aspetti legati a quei comportamenti che non hanno generato soddisfazione. In sintesi, mi interessa l’NPS nella misura in cui porta l’attenzione sulla qualità della relazione che voglio creare e non su come funzionano i miei processi interni. È un cambio di prospettiva fondamentale per la “nuova normalità” che si sta affacciando, dove al tradizionale modello di banca che colloca prodotti si sta sempre più affiancando quello di servizio.
Il territorio non è un luogo geografico, ma una nuova occasione di contatto
In questo scenario il territorio diventa ancora più importante, anche perché dobbiamo iniziare a pensarlo non più solo come un luogo geografico ma come qualcosa di ibrido che deve rendere possibili nuove modalità di contatto e di incontro con i clienti. E, ancora una volta, non è la banca a scegliere lo spazio nel quale si entra in contatto e si incontrano le persone; è il cliente a decidere, in base al luogo nel quale pensa di vedere soddisfatto un proprio bisogno nel modo che lui ritiene migliore, ottenendo così la massima soddisfazione possibile. Ed è qui che i vecchi schemi logici si scontrano con le abitudini che si sono imposte durante i lockdown e che si consolideranno nel futuro. Nel nostro ecosistema, i clienti adottano comportamenti radicalmente diversi a seconda dei canali. Per esempio, nelle rilevazioni di customer satisfaction, i clienti ci dicono che si recano fisicamente in banca per i servizi di cassa mediamente una volta ogni due mesi, mentre nello stesso intervallo di tempo visitano la nostra app almeno quaranta volte. Inoltre, preferiscono chiamare la filiale online dalle 17 alle 19 (che infatti sono i nostri orari di picco) proprio quando le filiali fisiche sono già chiuse.
Tutto ciò era già evidente prima del Covid-19 ma, durante la fase in cui è stato più complicato accedere alle filiali fisiche, sono aumentate le persone che si sono rese conto di queste opportunità.
Oltre a prendere atto delle nuove abitudini, oggi abbiamo una responsabilità: guardare a tutti i punti di contatto con il cliente in maniera armonica e solidale, superando ogni dinamica competitiva, basata solo sul chi vende di più e nel minor tempo. E ciò è possibile se continuiamo a darci l’obiettivo di liberare tempo di qualità con i clienti. Ad esempio, oltre alle attività di assistenza, i gestori online svolgono sempre di più un ruolo di consulenza digitale, insegnando alle persone a fare operazioni in autonomia. È qualcosa di cui vanno orgogliosi, anche se è lontano dal mestiere tradizionale del bancario e si può misurare in maniera poco tangibile.
Lo smart working è un’occasione per avvicinare il lavoro alle persone, generando soddisfazione per tutti gli attori coinvolti
Insegnare a qualcuno come si compila un bollettino MAV online aumenta il livello di soddisfazione sia del cliente che lo fa, sia del collega che glielo ha insegnato e questo migliora la nostra “stella polare”, l’NPS. Inoltre, aumenta il livello di servizio perché ogni bisogno del cliente viene indirizzato sul canale più adeguato e si ottiene maggiore efficienza: per esempio, diminuiranno le probabilità che qualcuno reclami per la coda in filiale perché sarà minore il numero di clienti che ci andranno, potendo svolgere la stessa operazione su un altro canale. Su questo aspetto, il digitale è al servizio di tutto l’ecosistema e offre una nuova opportunità agli spazi fisici che possono reimpossessarsi della dimensione temporale di lunga durata, indispensabile per ascoltare la storia delle persone e interpretare quei bisogni che i dati non riescono a trasmettere, per esempio i dubbi e le paure prima di un investimento importante.
Ma come fare in concreto? Bisogna lavorare sulle competenze e su una nuova quotidianità. Nei luoghi fisici si tendeva a interpretare l’incontro con il cliente come un atto di vendita. Da tempo abbiamo lavorato perché fosse ripensato come un momento di dialogo. Oggi dobbiamo continuare e insistere su questa strada. In questo caso, cambiare il paradigma significa uscire dall’ottica dello “smaltimento della coda” e iniziare a programmare ogni appuntamento a partire da un’idea condivisa con il cliente, per dare spazio a un confronto che – nei fatti – diventa una consulenza evoluta. Questo approccio ha implicazioni dirette nel business perché, quando nasce una relazione di fiducia con una persona, allora – come gestore – sarò spronato a proporre prodotti complessi che il cliente ancora non conosce nel dettaglio. Partirò da un NPS già alto, con un cliente che sarà promotore mio e della mia azienda, e questo aumenterà le mie possibilità di successo. E mi darà più sicurezza per proporlo ancora.
Quando invece tutti i canali operano in maniera indistinta su routine dettate solo dalle iniziative sui prodotti e dalla gestione del portafoglio, rischiamo di non cogliere l’opportunità nata da questa trasformazione della normalità. Non intendo sostenere che questi elementi non siano importanti, ma, mentre ogni prodotto può essere copiato, il legame relazionale ed emotivo è unico e non replicabile. E, nella mia opinione, deve essere un elemento guida nella strategia d’impresa.
In funzione di tutto ciò non possono che prendere forma nuove modalità di lavoro. Personalmente credo che non si tornerà al passato: dobbiamo smettere di interrogarci se sia meglio il lavoro dall’ufficio o lo smart working, ma ragionare concretamente su quali forme debbano avere i nuovi uffici ibridi, per iniziare a capire quali mestieri e competenze far incontrare all’interno di questi spazi. Oltre a ottimizzare l’organizzazione dello smart working, come Gruppo stiamo avviando un progetto pilota che prevede la creazione di hub, e cioè uffici distribuiti sul territorio. Perché finora sono sempre state le persone ad avvicinarsi ai luoghi di lavoro; ora invece possiamo avvicinare il lavoro alle persone, e quando le persone stanno meglio lavorano meglio e quindi generano molta più soddisfazione nei clienti con cui si relazionano. Ma non possiamo fermarci qui. La sfida è più complessa: penso che questi hub debbano diventare luoghi di attrazione e non nuove periferie. Se guardiamo al passato, infatti, gli uffici decentrati sono sempre esistiti, ma erano luoghi ai confini della relazione con i clienti, destinati al back office o comunque a poche categorie di persone, con aspirazioni erroneamente considerate limitate. Tutto ciò non deve ripetersi. La nostra ambizione è dare vita a luoghi in cui sperimentare incontri tra diverse competenze e nuovi mestieri e, in più, progettare nuove forme di coinvolgimento dei clienti. Il valore di questi spazi si misurerà con la varietà degli scambi che riusciremo a generare e con la capacità di renderli luoghi ambiti in cui lavorare.