No social, no party

Companies No social, no party

(Re)impariamo dalla strada per trasformare le imprese in arene sociali aperte al confronto e allo scambio.

sintesi

Credo che la sfida/urgenza maggiore che oggi un’organizzazione – di ogni dimensione – si trova a fronteggiare è racchiusa in una parola ovvia, quasi scontata, come “complessità”. Non si risolve la complessità ma la si addomestica anche grazie all’attivazione di tutte le risorse umane presenti in una struttura: “No Social, No Party”, allora, è per me la metafora efficace che può racchiudere il senso di questa sfida. E significa riuscire a trasformare le imprese in arene sociali aperte al confronto e allo scambio, al conflitto (costruttivo) e alla coopetizione. Mi rivolgo allora alle risorse umane: mettete da parte i manuali che incasellano le persone in ruoli e compiti super circoscritti. Oggi, per attivare il “social party”, contano le soft skills più che le conoscenze specialistiche. E conta un “ambiente attivato” capace di abilitare queste soft skills. Il mio consiglio è che le HR imparino dallo “street style”! E cioè imparino a leggere come, nella vita normale, persone normali adottano e adattano stili di vita, comportamenti, modelli di senso e motivazioni alla socialità. Per poi, ovviamente, replicare le condizioni di quello stile di senso in azienda. Pare che l’evoluzione dell’essere umano, prima, e la sua supremazia sul creato, dopo, sia dovuta a diversi fattori e, tra questi, ad una forma costante di “stress”, buono, che ci rende attivi e capaci di cogliere i segnali di pericolo e adattarci velocemente al cambiamento. Insomma la scienza ci conferma che lo shock, continuo, ci fa bene. Lo ha descritto molto bene l’autore del “Cigno Nero”, Nassim Taleb nel suo ultimo libro: “Antifragile: Things That Gain from Disorder”. La parola chiave è “fragilità” e solo una sana e consapevole condizione di stress, che è costante e positivo adattamento al cambiamento, permette la sopravvivenza e l’evoluzione dei singoli come delle organizzazioni.