Innovation Game (not) over
Tre lezioni che il retail può imparare direttamente dal mondo dei videogiochi.
sintesi
Sono nato nel 1980 e, come tutta la Generazione Y, non ho memoria di un mondo senza videogames. Dalle ormai archeologiche sale giochi fino al Kinect, ho vissuto in prima persona le trasformazioni di questa straordinaria industria dell’intrattenimento che - solo in Italia - fattura qualcosa come un miliardo di euro all’anno. Un’industria che sta vivendo in questi mesi la sua ennesima rivoluzione, con l’oligopolio dei colossi Sony-Microsoft-Nintendo, stabile fino a ieri, che oggi scricchiola sotto i colpi dei “casual games” per mobile. Fenomeni come Angry Birds sono solo la punta più mainstream di un enorme iceberg di migliaia di nicchie, incluse quelle più disruptive e direttamente competitive come la console open source OUYA (8,5M $ finanziati in crowdfunding su Kickstarter) o la piattaforma startup Brass Monkey che trasforma potenzialmente qualunque accoppiata smartphone-computer in un sistema di gioco stile-Wii. I giochi sono dappertutto, sono l’aria che respiriamo, sono il mindset inevitabile di chi è cresciuto a pane e joystick ed è naturalmente abituato a interpretare la realtà (esperienze d’acquisto incluse) per livelli, high scores e power-up. Come d’altronde si fa quotidianamente anche in ambito di community (personali, social o business). Per questo, ancor prima che un marketing trend, “gamificazione” non è altro che una parola per esprimere ciò che già milioni di persone (a partire da TUTTI gli under 35) hanno dentro di sé: una innata attitudine al gioco come experience immaginifica, coopetitiva, gratificante.
Experience immaginifica: da che gioco è gioco, giocare è interpretare un personaggio, entrare in una realtà parallela, immergersi in un mondo altro. Ma quanti retailer oggi possono vantarsi di offrire ai propri Clienti un immaginario altrettanto coinvolgente, ispirazionale e consistente rispetto a quanto fa - per citare giusto un caso eclatante e ormai venticinquennale - Nintendo con l’universo di Super Mario? Ben pochi; ma la quadra futura può forse essere rappresentata dalla frontiera, già testata da brand come Audi e Reebok, degli ARG (Alternate Reality Games), nei quali piano della realtà e piano del gioco, persona e protagonista, fisico e digitale si sovrappongono in uno storytelling unico e coerente.
Experience coopetitiva: da vulgata, “gamification” vorrebbe dire “competizione” tra gli utenti/Clienti. E, in effetti, la tempesta di messaggi di “ousting” di Foursquare (quando un utente ne scavalca un altro quale leader di una location) pare avvalorare questa tesi. In realtà, i cosiddetti MMORPG (Massively Multiplayer Online Role Playing Games, i giochi di ruolo online) insegnano quanto sia fondamentale introdurre logiche social-cooperative nelle esperienze di gioco che intendano avere ampio respiro e lunga durata. Ci piace aggregarci, “cooperare per competere”, fosse anche (molto semplicemente) nei team Red, Yellow e Blue dell’esperimento di retail gamificato del fashion brand canadese ALDO o nelle “crew” di quartiere della nuova campagna Converse Pro Streets.
Experience gratificante: e qui sta il vero “boss di fine livello” del retail. Durante una recente sessione di shadowing con manager del settore retail, sono rimasto colpito dall’impressione avuta da uno di questi riguardo a quanto le persone a spasso in una centralissima via dello shopping di Milano sembrassero “annoiate a morte”. Abbiamo forse perso la capacità di divertirci? Oppure, più probabilmente, ci sentiamo presi in giro da un’idea di consumo fine a se stesso totalmente insostenibile? Coca-Cola che a Singapore installa vending machine che erogano lattine a suon di abbracci anziché di monetine l’ha capito. Per il Cliente, il famigerato “scambio di valore” non sta (più) nella lattina; ma nell’abbraccio. Ovvero nell’esperienza: ludica, sorprendente, “rewarding” in un senso più compiuto. Quello a cui 30 anni e rotti di videogiochi ci hanno abituato. Fun. E c’è, infine, un’altra cosa che ho imparato dai videogiochi. La vita non è mai una sola. Sono (almeno) tre. Il retail è morto? Viva il retail.