Sono più cyborg gli esseri umani o le macchine?

Future Sono più cyborg gli esseri umani o le macchine?

Cosa succede agli uomini ora che la tecnologia permea ogni aspetto delle loro vite quotidiane? Possiamo chiamarci cyborg? E in che modo questa penetrazione tecnologica influisce sulle nostre abitudini? Riprendiamo il discorso sullo sviluppo tecnologico iniziato con il post Humans Vs Machines.

Riprendiamo il discorso sullo sviluppo tecnologico iniziato con questo post.

I confini tra umano e digitale stanno diventando sempre più sfocati. La parola cyborg (contrazione tra cybernetic e organism) è stata creata nel 1960 da Manfred Clynes and Nathan S. Kline per descrivere uomini potenziati da componenti esogene per sopravvivere in nuovi ambienti. Astronauti insomma. Ma anche esploratori, scalatori, palombari… Se ci pensiamo, è in realtà da sempre che gli umani utilizzano oggetti “tecnologici” esterni per migliorare le proprie capacità e per sopravvivere in ambienti ostili, dalle asce di pietra e il fuoco alle bombole d’ossigeno. Siamo quindi sempre stati cyborg? Forse. Questa è una questione puramente tassonomica, dipende da che cosa si fa ricadere nella categoria tecnologia e da quale delle molte altre definizioni di cyborg si sceglie di adottare. L’aspetto interessante è un altro. È forse dall’invenzione della scrittura o della matematica che gli avanzamenti nell’estensione delle nostre capacità cognitive sono stati incrementali. Come ci ricorda Amber Case la tecnologia, fino ad un certo punto della storia, è sempre riuscita ad aumentare solo i nostri io fisici e non quelli cognitivi. La rivoluzione digitale ha cambiato tutto questo. Quindi, anche se non sappiamo se lo siamo sempre stati, sicuramente ora siamo tutti cyborg.

Donna Haraway lo diceva già nel 1985 (a supporto delle sue terorie sul femminismo) ripresa poi da Hari Kunzru nel suo articolo dal inequivocabile titolo You Are Cyborg nel 1997. Ma in che senso siamo dei cyborg, o meglio, dei cyborg cognitivi? In un articolo intitolato Google Effects on Memory: Cognitive Consequences of Having Information at Our Fingertips leggiamo come il nostro io cognitivo sia stato modificato dall’arrivo dell’ubiquitous computing. Il team di ricercatori della Columbia, di Harvard e della University of Wisconsin-Medison hanno osservato come la possibilità di utilizzare accessi ad Internet abbassi la capacità di ricordare informazioni specifiche ma aumenti la capacità di ricordare come raggiungere le suddette informazioni online o su computer. Sostanzialmente non ci ricordiamo cosa ma sappiamo dov’è. “Stiamo diventando simbiotici con i nostri strumenti computerizzati, trasformandoci in sistemi interconnessi che ricordano meno se apprendono informazioni su dove queste informazioni possono essere conservate. […] Siamo diventati dipendenti dai [gadget] allo stesso modo di come lo siamo da tutto il sapere che riceviamo dai nostri amici e colleghi – e che perdiamo se non rimaniamo in contatto con loro. L’esperienza di perdere la nostra connessione Internet diventa sempre più simile al perdere un amico. Dobbiamo rimanere connessi per sapere quello che sa Google.” (Sparrow, 2011).

E perché questo accade ora più che in passato? Secondo Jan Chipchase “questi cambiamenti stanno accadendo più velocemente che mai, non necessariamente perché la tecnologia sta cambiando più velocemente, ma perché è l’uso che ne facciamo che muta continuamente e rapidamente” (Chipchase, 2013). Il nostro rapporto con la tecnologia continuamente mutevole ed estremamente intimo. Una relazione adolescenziale arrivata ormai alla third base, praticamente. Ogni giorno scarichiamo app nuove o acquistiamo nuovi devices che modificano le nostre abitudini quotidiane. Sarà però molto più interessante quando smetteremo di creare app per cellulari e inizieremo a farlo per i nostri corpi, dice Neil Harbisson.

Esseri umani che diventano sempre più macchine ma anche viceversa. Ci sono ad esempio computer che simulano comportamenti umani, come Watson, computer della IBM che vince un programma a premi contro due persone, ma anche robot che vengono trattati come umani anche se umani non sono, come il bot Random Darknet Shopper ‘arrestato’ dalla polizia svizzera per l’acquisto di ecstasy online. Il codice, scritto dal duo d’artisti !MEDIENGRUPPE BITNIK e programmato per spendere $100 in bitcoin a settimana per acquistare articoli a caso nei mercati sui darknet, dopo l’acquisto di un pacchetto di droghe sintetiche dalla Germania è stato requisito dalla polizia svizzera e successivamente rilasciato.

Ma se la sovrapposizione umano-macchina sta collimando sempre più in un’immagine dai contorni definiti, cosa succederà alle reti? Cosa succederà al Flow del Quaderno #8 e cioè reti composte da umani che usano tecnologia per scambiare flussi all’interno delle imprese?

Cosa accadrà al Flow quando le interazioni su contenuti, esperienze e sensazioni non saranno più tra individuo e individuo ma tra macchina e individuo?

Come verrà amplificata la loro l’identità? E quella delle macchine? A quel punto per davvero il medium sarà il messaggio! E anche chi lo produce. E anche chi lo riceve.

Vivremo in un heideggeriano mondo degli androidi? O in un mondo degli umani, a seconda del punto di vista…