Companies Dai concorsi al Recruiting Game
Nuovi approcci al Recruiting e al Management generazionale in un'intervista al responsabile gestione del personale di Intesa Sanpaolo.
sintesi
Nell'intervista che segue Roberto Cascella, responsabile Gestione e Selezione del Personale di Intesa Sanpaolo, ci parla delle sfide che la questione generazionale porta nella fase di recruiting e di management. In che chiave può essere osservata la questione generazionale dal suo punto di vista? A mio avviso sono due i macro-ordini secondo cui possiamo definire la questione generazionale: come attraggo le persone e come le gestisco. Partiamo dal primo: l’ostacolo principale per le banche nella fase di recruitment è quello di riuscire ad essere appealing nei confronti di professioni non tipicamente legate al loro mondo. È evidente che per attrarre professionisti da altri settori si debba competere con nomi che sono maggiormente riconosciuti in quel determinato campo. La competizione è, quindi molto più forte in quanto allargata anche a settori non finanziari. Se pensiamo ad esempio all’Information Technology, questo tipo di dinamica si presenta con forza ancora maggiore. Le banche non vengono viste come best player in questo mondo (a mio avviso non totalmente a ragione), perché la percezione che si ha dall’esterno è quella di un universo poco tecnologico, molto tradizionale e più legato alla fisicità che al digitale. Questa percezione non solo non è veritiera nel presente ma lo sarà sempre meno in un futuro prossimo. Ad oggi però le nuove generazioni preferiscono ancora andare a lavorare in una start-up (se non di fondarne una direttamente) o in una grossa firm digitale, perché sentono una maggiore appartenenza a quel mondo, percepiscono maggiori opportunità in quel campo. Un secondo ostacolo deriva, come osservato in numerose ricerche, dalla propensione delle nuove generazioni a vivere esperienze, anche episodiche, piuttosto che inseguire un posto di lavoro fisso in un’unica azienda. La banca, in questo senso, è tradizionalmente vista come un luogo nel quale avviare un percorso di carriera lungo e stabile e questo si scontra, quindi, con le aspirazioni di un Millennial che potrebbe invece preferire più esperienze di diversa natura. C’è allora una soluzione per superare questi ostacoli? La soluzione potrebbe, ad esempio, stare nel creare nuovi format di recruiting maggiormente legati ad una dimensione esperienziale. All’interno del Gruppo Intesa Sanpaolo abbiamo sviluppato il Recruiting Game. Quest’approccio prevede una serie di eventi di selezione immersivi e partecipativi. Durante questi eventi, i candidati sono chiamati a misurarsi in una competizione a squadre su tematiche di carattere tecnico. Questo è quindi un format che, per attirare nuove generazioni, sfrutta la loro voglia di sperimentare, di sfidarsi, di vivere un’esperienza. L’essere stati in grado di avvicinare le nuove generazioni al mondo della banca attraverso uno strumento più tipicamente legato al loro immaginario e ad una dimensione con il quale vogliono entrare in contatto ha determinato il successo del Recruiting Game. L’evento si è trasformato in occasione per incontrarsi e superare reciproche convinzioni e pregiudizi. L’ambiente fresco, le dinamiche di collaborazione anche con “futuri colleghi”, l’informalità della relazione, creano occasioni uniche per conoscersi, scoprirsi e alimentare curiosità. Ognuno porta qualcosa di sé, tutti portano a casa tantissimo. Una dimensione totalmente nuova per una banca… Basta pensare al salto quantico che la banca ha fatto dal concorso al Recruiting Game. In passato venivano utilizzate palestre scolastiche intere per centinaia e centinaia di persone che venivano sottoposte a test di ogni genere, da quelli psicoattitudinali a quelli di ragioneria. A quel tempo l’obiettivo dei candidati era principalmente un posto stabile. Il Recruiting Game è una rivoluzione totale rispetto a quest’approccio. È stato pensato proprio perché il posto di lavoro fisso interessa meno di un’esperienza lavorativa nella quale è possibile apprendere, sperimentare, giocare. E il processo di selezione stesso è un’occasione che permette ai candidati di sfidarsi e di imparare, di intraprendere un percorso progettuale con persone diverse, di produrre qualcosa. Il processo di selezione si trasforma in esperienza. Un’azienda come Intesa Sanpaolo, un’azienda di servizi, deve ragionare, anche in fase di scouting, sul concetto di experience. Più è positiva l’esperienza di un candidato, più saremo in grado di attrarre talenti capaci e maggiormente riusciremo, in quanto appunto azienda di servizi, a valorizzare il nostro brand, colpendo positivamente potenziali e reali clienti. Qual è il futuro del Recruiting Game, qual è il Recruiting Game 2.0? Le aziende oggi sono attraversate da una molteplicità di touchpoint e non hanno la possibilità di controllare tutti gli accessi perché, soprattutto per quanto riguarda il recruiting, si lavora principalmente con una logica di multicanalità. Abbiamo quindi strumenti social (LinkedIn in primis), la sezione “Lavora con noi” sul sito, i Career Day e il Recruiting Game, per citarne alcuni. Questi sono tutti elementi con cui le persone entrano in contatto e vivono un’esperienza, positiva o negativa, con un’azienda. Tra questi touchpoint, il Recruiting Game è uno di quelli che crea dinamiche esperienziali di maggiore impatto ma che riesce a raggiungere solo un limitato numero di persone. Il suo futuro è quindi quello di essere sviluppato anche attraverso piattaforme digitali che permettano di estendere quest’esperienza unica e innovativa a più persone possibile. Meccaniche di recruiting digitale che affiancano l’individuazione dei talenti giusti per l’azienda ad un’experience sempre più positiva per tutte quelle persone che vogliono entrare in contatto con l’azienda stessa. La grossa sfida è quindi quella di avere un approccio sempre più sui social facendo però vivere un’esperienza sempre più individuale alle nuove generazioni. Passiamo al secondo macro-ordine, quello su come gestire la questione generazionale all’interno dell’Impresa. Il tema va affrontato attraverso un progetto di change management molto forte che oggi, in un’azienda come la nostra, non può essere omogeneamente distribuito in quanto i volumi di persone di nuova generazione all’interno delle diverse aree di Intesa Sanpaolo sono disomogenei. La questione generazionale è, infatti, dapprima risultata evidente in alcune aree specifiche, come ad esempio nell’area IT. In un solo anno, la fisionomia di questa struttura è cambiata radicalmente con l’inserimento di circa 25% di under 32. È evidente che dinamiche di questo tipo necessitino la riprogettazione delle modalità di gestione del personale, la creazione di nuovi strumenti e nuovi modelli di leadership. Le tre sfide principali sono state centrate sui capi, sui professional e sui neo assunti. In che modo? Innanzitutto è stata immaginata una fase di onboarding caratterizzata non soltanto da un momento di formazione tradizionale, ma anche da meccanismi di training on the job. L’intervento più importante è stato però fatto sulle modalità e gli strumenti d’insegnamento delle persone deputate a trasmettere contenuti ai neoassunti; sono state introdotte due nuove figure, una di tutor specialistico e l’altra di job mate, che accompagnano i nuovi membri della squadra “nel cuore e nella mente”, e cioè li affiancano sulla parte tecnica e sulla parte emotiva dell’inserimento e della conoscenza dell’azienda. Alcune iniziative sono anche state intraprese per i capi, in particolare sullo stile di leadership da adottare a seconda delle generazioni con cui essi vanno a dialogare. Sono quindi stati forniti gli strumenti per allenare i capi a creare delle mappe che collegassero stili di leadership e comportamenti dei collaboratori, questo per cercare di trovare una diretta connessione tra elementi motivazionali e il conseguente stile di leadership da adottare per permettere a ciascuno di produrre maggior valore. I driver motivazionali sono ovviamente molto diversi a seconda delle generazioni, sia per quanto riguarda gli ambienti che per quanto riguarda gli stili di lavoro. Di fronte ad un Millennial, quindi, che ha una capacità innata di approcciarsi con uno stile imprenditoriale molto meno legato a schemi gerarchici, è evidente che anche lo stile manageriale che sarà necessario adottare dovrà lasciare spazio a questo tipo di autonomia piuttosto che impostare un rapporto improntato a direttive e disciplina. Se quindi, in un rapporto tra manager e collaboratore, non do spazio a quelli che sono gli aspetti positivi che caratterizzano questa generazione non creo i presupposti perché tu possa agire quest’autonomia imprenditoriale, rischio di non cogliere una grossa opportunità. Il lavoro importante è quello di immaginare preventivamente quali sono i principali driver che muovono una generazione diversa e cercare di volta in volta di ampliare lo spettro degli stili manageriali e di leadership, adottando il più adatto per amplificare le potenzialità di ciascuna generazione all’interno dell’azienda. Uno strumento a mio avviso molto potente, che oggi dovrebbe essere più ampliamente utilizzato, è il sistema del reverse coaching, per permettere alle nuove generazioni di affiancare e a loro volta influenzare chi gli sta attorno, in uno scambio reciproco di conoscenze e competenze. Il tema è comunque molto rilevante e lo sarà sempre più, considerando che nel 2030 il 75% della forza lavorativa sarà costituita da Millennial; è quindi un tema che non può più essere sottovalutato (così come il tema della diversity di genere) in quanto rischia, se non opportunamente gestito, di non generare il valore che intrinsecamente possiede. Le nuove generazioni saranno i manager del futuro. Come saranno questi nuovi manager? Saranno molto più liquidi, nel senso che saranno molto meno legati e convinti di dover ragionare su ruoli gerarchici, ma saranno molto più vincolati al “ciò che so fare”, agli strumenti (che sono funzioni delle esperienze) che hanno accumulato nella loro cassetta degli attrezzi. Presteranno maggiore attenzione a quello che personalmente saranno in grado di fare per contribuire ad un lavoro al quale partecipano più persone. In questo senso le organizzazioni saranno molto più piatte, meno legate a ruoli e gradi perché, come abbiamo detto, per queste generazioni la gerarchia non è un valore. Si adopereranno quindi modelli circolari.