Articoli WeBooks #9: Avere fiducia al giorno d'oggi
‘Avere fiducia’ non è una semplice azione istantanea ma è un processo più complesso e sfaccettato. In questo post esploriamo l’argomento attraverso l’analisi del libro ‘Avere fiducia. Perchè è necessario credere negli altri’ di Michela Marzano
L’esperienza della fiducia — del dare fiducia, come del riceverla — poggia su un paradosso. Dare fiducia presuppone una certezza ‘insidiosa’. Fidarsi è prendere una decisione (e muoversi verso qualcuno) senza avere tutte le garanzie necessarie. Che cosa mi garantisce dal fallimento, dalla delusione, dal danno? Lo stesso accade nel ricevere fiducia. Quante volte, trattati con fiducia da altri, ci siamo domandati: «E se fallissi? E se fosse oltre le mie capacità?» E questo non solo riflettendo impauriti su ciò che ci veniva chiesto, ma prima ancora, pensando allo stesso sguardo (fiducioso) nei nostri confronti di colui che si era rivolto a noi?
D’altra parte dare fiducia significa proprio rischiare. Questo è quanto mette ben in evidenza Michela Marzano nel suo Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri(Mondadori). L’autrice, docente di filosofia a Parigi, mette in scena un vero e proprio campionario delle insidie del fidarsi (e del ricevere fiducia).
La fiducia, scrive, è «il cemento delle nostre società». Ma come è possibile la fiducia in un tempo in cui lo sfaldamento di tutto quanto teneva insieme le persone, sembra l’unica vero punto fermo? Se l’unico vero ideale – del proprio essere e del proprio apparire agli altri – è l’autosufficienza, il non avere bisogno se non di se stessi? Dalle riflessioni della Marzano emerge con una certa chiarezza che la fiducia poggia sull’assunzione di un rischio: «Se non si è pronti ad accettare il rischio di una relazione umana che sfugge alla padronanza e al controllo, la fiducia sparisce. Lo stesso vale per i possibili errori: a puntare troppo su «zero difetti», argomento tanto di moda nella letteratura manageriale, si giunge al risultato contrario a quello che si vorrebbe ottenere. Invece di favorire la fiducia reciproca, si crea progressivamente confusione e sfiducia» (p. 99). Una vera chiarezza e condivisione degli obiettivi, unita ad una reale e positiva messa in conto dei limiti umani degli attori in gioco, sono allora, per la Marzano, la condizione di una vera e produttiva relazione di fiducia.
Ma con quale rischio abbiamo a che fare quando diamo fiducia? È solo il rischio di chi cerca di anticipare un successo? Di chi cerca di giocare d’anticipo, scommettendo su un’altra persona, più o meno come si scommette sulla vittoria di un cavallo o di una squadra di calcio. La logica neanche troppo nascosta di questo modo di concepire (e vivere) la relazione di fiducia è forse fin troppo chiara. Si tratta sempre e solo di una questione di interessi. È quello che dice Russell Hardin, della New York University: fidarsi non è altro se non una strategia di «incapsulamento» dei miei interessi in quelli di un altro: mi fido di un altro contando sul fatto che anche lui ha interesse ad esser degno della mia fiducia. Il motore della fiducia sarebbe quindi un calcolo strategico degli interessi in gioco. In realtà questo calcolo si basa su troppe certezze infondate, osserva la Marzano. Non solo riguardo all’esito del nostro dare fiducia, al suo successo, ma ancor di più riguardo a ciò che, più originariamente, ci muove a dare o meno fiducia a qualcuno. Dominiamo così tanto noi stessi — si chiede la Marzano —, il nostro desiderio, le nostre capacità, da poter veramente esercitare una strategia di questo tipo? E, verrebbe inoltre da chiedersi, dominiamo così anche il tempo, partner incisivo e decisivo in ogni nostra relazione di fiducia? Evidentemente no.
E allora perché continuiamo a parlare di fiducia, a sentirne il bisogno, a individuare in essa la chiave per una svolta capace di rilanciare noi stessi e gli altri anche nella nostra vita lavorativa e di impresa?
Forse è perché nel fidarsi vi è la possibilità di una relazione tra persone che, nonostante tutti gli sforzi, nessuna razionalità strategica è in grado di realizzare: una relazione nella quale si accetta che proprio ciò che è fuori controllo (innanzitutto l’altra persona stessa cui accordo fiducia nel suo irriducibile non-essere-me) possa essere il luogo di una novità feconda, piccola o grande. Una novità comunque eccedente ogni calcolo di previsione. È una questione di sguardo sugli altri, prima ancora che di atti. Chi riceve quel tipo di fiducia — di vera fiducia — lo sa bene. Ecco perché quando riceviamo (vera) fiducia e ci rendiamo conto di tutta la posta in gioco in questo livello di relazione umana, proviamo una vertigine. Possiamo non reggerla e tradire la fiducia e dunque la possibilità di novità che essa indica, per noi e per il nostro ambiente. Possiamo però anche essere degni della fiducia che qualcuno ci ha dato. Come? Agendo, per così dire, di conseguenza: assumendoci il compito di introdurre nella realtà una novità (piccola o grande) e una fecondità che nessuno avrebbe mai potuto prevedere.