Se i consumatori comprano ma gli individui scelgono

Articoli Se i consumatori comprano ma gli individui scelgono

Che cosa significa che il consumo non segue più i bisogni ma i desideri? Significa che il target non sono più clienti in cerca di viti o bulloni ma esperienze in atto. Ci vuole quindi un’altra sensibilità ed un’altra progettualità. Non più fornitori e utenti ma due storie che si incontrano e collaborano.

«Dammi ciò di cui ho bisogno e avrai questo che ti occorre. In questo modo otteniamo dagli altri la massima parte dei servizi di cui abbiamo bisogno», così Adam Smith vedeva l’origine elementare dello scambio economico e della divisione del lavoro. Ma questi bisogni si sono trasformati, allargati, rimpiccioliti, fusi, separati… In definitiva, se guardiamo bene, il primo vero luogo della ‘complessità’ è proprio quello dei bisogni. E che cosa succede se ci si mette anche il desiderio? Silvano Petrosino in un suo recente intervento, Elogio dell’uomo economico (Vita e Pensiero, 2013), ha ben messo in evidenza il dislivello che c’è tra bisogno e desiderio: il desiderio si orienta alla dimensione del senso complessivo della propria esperienza, non ad una (momentanea) utilità. Ma se nessun consumo può soddisfare il desiderio, il percorso di senso che sto facendo gioca un ruolo fondamentale nella definizione dei criteri e delle scelte di consumo che faccio. Rendersi conto che il cliente è tutto questo non è un lusso intellettuale da filosofi e neppure una semplice scelta strategica, ma una vera e propria necessità.

Come ha ben messo in evidenza il sociologo Stefano Gnasso nel volume scritto assieme a Paolo Iabichino dal titolo Existential marketing. I consumatori comprano, gli individui scelgono, la domanda ormai si presenta estremamente difficile da classificare perché non è più unidimensionale. L’ingaggio con il cliente non avviene più sul piano di una singola necessità, di un mezzo per raggiungere un fine, ma su quello più ampio di un’esperienza in atto.

Creazione di valore, progetto, trasformazione, cioè, prima che parole-chiave dell’impresa, sono esperienze in atto nella molto variopinta scena umana che ogni azienda ha di fronte. Ecco perché chi concepisce un prodotto (o un servizio) e/o lo propone al mercato deve sviluppare un’altra sensibilità e un altro livello di ingaggio. Avere a che fare con un cliente significa avere a che fare con una storia, non con qualcuno in cerca di una vite o un bullone da aggiungere ad una vita-Meccano.
Una sensibilità narrativa diviene quindi una necessità. Ogni storia, infatti, si costruisce su una trama, cioè su significati che pretendono di essere autentici, veri. Ogni narrazione che si concepisca come mera persuasione è per questo destinata a fallire. Ma noi quanto siamo capaci di riconoscere o ‘leggere’ la storia dei nostri clienti? Quanto siamo capaci di proporre loro di entrare a farne parte? Quanto siamo capaci di raccontare l’opera che proponiamo?