Articoli Le due facce della gamification
Tecnica di ingaggio nei confronti dei Clienti da una parte, strumento motivazionale per le persone che lavorano all’interno di un’impresa dall’altra: la gamificazione è un fenomeno ormai trasversale e pervasivo. Passiamone in rassegna alcuni casi.
Wikipedia definisce la gamification come “l’utilizzo delle meccaniche e dinamiche dei giochi – come livelli, punti o premi – in contesti esterni al gioco per creare più interesse o risolvere problemi”. La “ludicizzazione” si basa sul principio che la vita quotidiana sia composta anche da numerose azioni ritenute spesso noiose e “mal digerite” (dal pagamento di tasse alla prevenzione sanitaria, fino alla manutenzione di prodotti), ma che attraverso il gioco le persone possano essere maggiormente coinvolte e provare divertimento perfino in tali attività.
Uno scenario stimolante ci arriva da questo TED Talk di Jane McGonigal su come le logiche di gamification possano contribuire a ispirare il cambiamento nel cosiddetto “mondo reale”; sono citati, tra gli altri, casi di piattaforme online abilitanti per la raccolta di soluzioni creative utili ad affrontare importanti questioni sociali come Superstruct o Evoke:
In questo articolo, Mashable riprende 9 casi di aziende del settore retail che hanno progettato con successo campagne, siti e-commerce o iniziative sui social media all’insegna della gamificazione; tra le altre, Nike con la campagna ‘Winter’s Angry’ e Valentino con il suo museo 3D virtuale.
Nell’ambito B2C, insomma, il fenomeno della gamification è ormai pervasivo: si va dal retail banking (settore di norma piuttosto “ingessato”) al settore dell’apprendimento.
Riguardo al retail banking, la questione è ben illustrata in questo articolo che spiega come un settore così service-oriented come quello delle banche necessiti di innescare meccanismi ludico-innovativi che inducano a specifici comportamenti da parte dei clienti, come gestire meglio i propri risparmi o effettuare pagamenti con la carta di credito. Uno di questi meccanismi è, per esempio, la progettazione di loyalty programs “gamificati” per incentivare l’utilizzo della carta di credito invece dei contanti. La piattaforma Mint.com, definita dal Wall Street Journal come “il migliore tool online per la finanza personale”, utilizza strategie di engagement rese attraverso un semplice linguaggio visivo di icone poste su barre di progressione, indicanti i “goals” personali da raggiungere.
Lo stesso articolo riporta alcune interessanti linee-guida per la gamificazione, tra cui l’invito a progettare per il lato emotivo dell’uomo e non (solo) per quello razionale o losviluppo di ricompense (rewards) scalabili per favorire comportamenti di breve o lungo termine.
Approccio analogo, ma applicato al settore dell’apprendimento, è quello della piattaforma Duolingo, progetto nato all’interno della Facoltà di Scienze Informatiche dell’Università Carnegie Mellon dallo stesso ideatore del sistema CAPTCHA. Lo scopo di Duolingo è di contribuire, attraverso un sistema di crowdsourcing, alla traduzione del world wide web in diverse lingue e, nello stesso tempo, permettere a chiunque di apprendere gratuitamente una nuova lingua straniera mentre si traducono le frasi.
Da un punto di vista squisitamente didattico, si tratta di un approccio di apprendimento innovativo che ha origine dal tradizionale metodo grammaticale-traduttivo ma che permette di apprendere la grammatica in maniera intuitiva e non attraverso la memorizzazione delle regole. Inoltre, dal punto di vista progettuale, è interessante notare il ruolo fondamentale che in Duolingo hanno le logiche di gamificazione: come spiega questo articolo, le lezioni sono presentate attraverso un “albero delle abilità” (skill tree) e un sistema a punteggi che permette di “sbloccare” via via i livelli superiori.
Se Duolingo è un caso di successo quanto a design, un recente articolo di FastCompanyracconta, per contro, come l’80% delle attuali Apps gamificate non raggiungerà gli obiettivi di business prefissati per via della scarsa progettazione, e incentra la sua analisi su alcuni suggerimenti utili a motivare le nuove leve delle reti di vendita (la cosiddetta “Generazione Y”), progettando iniziative che sottendano logiche di gioco semplici ma allo stesso tempo ingaggianti, con rewards in linea rispetto ai differenti sistemi di appartenenza teorizzati da Nir Eyal a cui abbiamo già avuto fatto cenno nel nostro post sul service design collaborativo.
Siamo dunque passati all’altro “faccia” della gamification, quella cioè promossa all’interno delle organizzazioni, per coinvolgere e motivare i lavoratori in processi di crescita personale e professionale con modalità ingaggianti.
Un recente documento di Deloitte UK sui trend del 2013 racconta l’essenza della gamificazione nel mondo delle organizzazioni come:
quella di un nuovo modo di pensare, progettare e attuare soluzioni, che può persino indurre ad iniziare a pensare ai propri dipendenti, partner e fornitori come fossero Clienti
Già da tempo colossi come Coca-Cola, McDonald’s o Best Buy hanno sviluppato una partnership con il videogioco Cityville, al fine di incrementare la brand reputation presso potenziali candidati; ma se superiamo questa semplicistica logica di advergaming/product placement, possiamo scoprire anche sperimentazioni particolari come quella dell’azienda californiana RMS (Risk Management Solutions), leader di mercato nella progettazione di soluzioni per la gestione ed il rischio di catastrofi naturali e pandemie.
RMS ha sviluppato una partnership con Plague, popolare gioco strategico per iPhone e iPad, nel quale ci si trova a vivere in prima persona l’esplosione di una pandemia su scala mondiale; come l’hanno definito i Centers for Disease Control and Prevention americani, “un gioco che crea un mondo avvincente e fa riflettere su seri argomenti riguardanti la salute pubblica”.
Allo scopo di implementare la propria politica di recruiting attraverso i propri stessi dipendenti (employee referral), RMS si è trasformata all’interno del gioco in un vero e proprio “personaggio” esperto e autorità scientifica, contribuendo a creare una propria identità d’impresa non solo verso l’esterno (cioè per tutti i giocatori di Plague), ma anche nei confronti dei propri dipendenti, come racconta questo video di presentazione interna.
Gamificazione, insomma, non significa mettere le persone che compongono un’organizzazione più o meno complessa semplicemente “in gara” tra loro, o ordinarle in “classifiche” (meccaniche di gioco molto molto basiche); può invece diventare un’esperienza più arricchente, più sofisticata, più motivante.
Prendiamo il caso di Omnicare, azienda IT americana che produce software per l’industria farmaceutica, che ha provato a ri-disegnare le modalità di ingaggio per migliorare l’efficienza del proprio call center. Dopo aver provato con insuccesso la strada dei “ranking”, rivelatasi frustrante per i dipendenti, è stato costruito un più raffinato percorso di gamificazione con determinati tasks da portare avanti, del tipo “oggi cercate tre clienti che hanno un problema specifico con la fatturazione ed aiutateli in questo senso” (meccanica tipica, oltre che dei giochi di ruolo, di molte business communities). E il risultato, in termini di efficientamento, è stato molto positivo, come racconta questo link di approfondimento.
Le vie della gamificazione, “esterna” o “interna”, sono infinite. Chiediamoci: in che misura possiamo utilizzare queste tecniche di ingaggio nelle nostre organizzazioni?