Articoli Kickstarter: l’anno della svolta?
La piattaforma statunitense sta trainando in questi mesi il modello del crowdfunding verso il salto di qualità dell’adozione di massa? E quali sono le implicazioni e i cambiamenti più interessanti di questo fenomeno esplosivo?
Uno dei casi con cui abbiamo corredato la sezione “Collaborative Design” del nostro Quaderno numero 2 è stato, in un’accezione piuttosto particolare, quello di Kickstarter. Dicevamo:
Come segnalato da un recente articolo di TechCrunch, questo 2012 sembra essere l’anno della svolta per la nota piattaforma di crowdfunding creativo Kickstarter. Attivo in America dal 2008, il sito è balzato agli onori delle cronache negli ultimi mesi grazie all’esplosivo successo di una manciata di progetti (8, per la precisione) [nb: nel frattempo sono diventati 9] che hanno sfondato il tetto del milione di dollari di finanziamenti ricevuti da parte della community. Dal nuovo disco della cantante Amanda Palmer (ennesimo capitolo dell’ormai irreversibile processo di disintermediazione dell’industria discografica) fino allo “smartwatch” Pebble che detiene l’attuale record con oltre 10 milioni di dollari raccolti (a fronte dei 100.000 richiesti –100 volte tanto!), Kickstarter sta imponendo nuove logiche non solo di finanziamento ma di vera e propria progettazione: la qualità del prodotto non basta, occorre dare forma a un sistema di condivisione del valore delle “pledges”(quanto più finanzio, tanto più ricevo in cambio) capace di ingaggiare realmente gli utenti.
La questione “collaborativa” di Kickstarter riguarda quindi, anzitutto, l’aspetto finanziario, con tutte le ramificazioni del caso (business model). Il citato album della cantante Amanda Palmer (1 milione e 200 mila dollari raccolti – ricordiamo: prima della pubblicazione – da parte di 25.000 fan) si inserisce per esempio nel filone ormai più che decennale della cosiddetta “crisi” (ma sarebbe meglio chiamarla “rivoluzione” o “evoluzione”) dell’industria discografica. Industria per la quale, almeno dai tempi di Napster in poi, la rete è stata un continuo e inarrestabile “accendersi di spie” che ne segnalavano i profondi mutamenti, dal pay-what-you-want sperimentato su larga scala dalla celebre band inglese dei Radiohead nel 2007 fino allo spuntare di startup “di settore” che in queste nuove pieghe cercano doverosamente di inserirsi (esempio made in Italy di respiro internazionale: Sounday).
L’ultimo entrato nel “million dollar club” Kickstarter: le miniature Reaper’s Bones (3,4M $)
Altro punto di interesse di Kickstarter è il tema dello scambio diretto di valore tra “produttore” e “consumatore” (o qualunque altra etichetta si voglia dare a queste ormai sfumatissime categorie). Scriveva Daniele Cerra (Digital Innovation Officer Logotel) nel primo numero dei Quaderni, a proposito di Dropbox quale esempio di sistema beta:
Uno scambio di valore da puro ecosistema organico dove i beta tester traggono dalla simbiosi un vantaggio erogato in termini di servizio e Dropbox riesce a generare il prodotto sempre, in quella fase di affermazione nel mercato più adatto ai suoi utilizzatori. Nell’ambito di scenari altamente interattivi come le business community o i network di scambio di valore – intendendo anche ogni tipo di relazione fisica o digitale tra brand e consumatori – il designer si trova di fronte a una sfida che va ben oltre la progettazione di un “oggetto perfetto”: realizzare un ecosistema resiliente in costante mutamento.
Analogamente, con una modularità di offerta della quale anche tanto retail classico potrebbe fare tesoro, i creativi che pubblicano progetti su Kickstarter non possono limitarsi a presentare il proprio “oggetto perfetto” nella maniera più appealing possibile (per quanto avere, al di là dell’idea, un video introduttivo che la racconti in maniera eccellente sia pressoché un dovere: qui un esempio molto divertente, e fruttato mezzo milione di dollari!).
A essere decisiva è spesso la composizione della colonna di destra di ogni pagina-progetto della piattaforma, quella delle cosiddette “pledges”. Qui l’utente sceglie in quale misura contribuire, ricevendo in cambio un concreto valore aggiunto, si tratti di un semplice “special thanks”, di un’anteprima, di una versione premium del prodotto/servizio o di un ruolo attivo da co-progettista. Il libero “pay what you want” si apre così verso nuove, imprevedibili direzioni. E non resta che vedere se/come/quando simili “ecosistemi resilienti” possano svilupparsi ed attecchire in nuove situazioni (anche geografiche: ci eravamo già occupati del “Kickstarter italiano” Eppela), in nuovi ambiti, in nuovi modelli.