Articoli Il WE non vuole essere incorniciato
Le Imprese hanno intere gallerie di progetti finiti in piccole “cornici”, quasi invisibili: come espandere il nostro sguardo e la nostra capacità di condividere e immaginare?
La pillola formativa a cura di Laura Bartolini.
Roberts Dilts ci suggerisce una metafora, elementare ma esaustiva, per leggere “in figura” ciò che ha il potere di fermare, di “blindare” la nostra creatività: pensare prima a unaCornice, e visualizzare poi una porzione di un “qualcosa” da incorniciare al suo interno.
Quando inquadriamo dentro a vincoli abitudinari – dentro a piccole, usuali cornici – il nostro modo di parlare e di raccontare – ma anche di vedere, ascoltare, ragionare – ci sentiamo comodi nel circoscrivere il senso delle cose.
Ma quando esaminiamo un fatto, un progetto, una possibile alternativa a qualcosa che ci viene proposto, senza allertare alcun tipo di attenzione generosa verso chi ci chiede di essere preso in considerazione, poniamo solo una porzione di quei contenuti all’interno di una cornice tollerata e lasciamo, la maggior parte delle volte, il vero significato all’esterno di essa.
Le Imprese hanno intere gallerie di progetti finiti in piccole cornici, quasi invisibili.
Cornici limitate che tagliano una parte dal tutto, che riducono le prospettive, che ci precludono la capacità di intuire e la possibilità di vedere ciò che rimane “fuori”. Lo spazio interpretativo si riduce, le connessioni si interrompono, le emozioni si spengono. Il nostro stesso sguardo riesce a vedere “mentalmente” solo ciò che è sottolineato da un passepartout castrante. Un esempio?
Pensiamo al concetto di tempo e definiamolo in quest’ottica “cornice temporale”: quanti fatti, cose, situazioni vengono assolutamente condizionate dal tempo? “Ho poco tempo, non posso ascoltarti”… “Non ho tempo per condividere, non posso spiegarti”… “Non mi interessa, non posso diversificare e approfondire perché?… Non ho tempo!”…. “Poco tempo? Non posso cambiare“. E così via.
La filosofia del WE, in sinergia con la Rete, supportata dal magma tecnologico del “qui e ora”, dilata le cornici fino al punto di farle sparire oltre i limiti di un desktop senza misura. Il finito e l’infinito vivono una possibile simbiosi. Nel essere WE espandiamo le nostre mappe mentali e concettuali, ci rendiamo flessibili verso pensieri laterali, veri motori di creatività.
La cooperazione, la condivisione, il “fare insieme” fanno sì che, invece di collocare il nostro vedere e il nostro sapere in visioni chiuse da cornici limitanti, possiamo aprirli a mille altre persone capaci di dilatarli e renderci più visionari.
Appena sfioriamo la superficie lucida di un smartphone o di un iPad, ecco che veramente le cornici si aprono, si dilatano con il gesto di un dito indice, rito emblematico per accedere a tutto ciò che naviga su spazi “in-restringibili”. Ma attenzione, c’è un rischio che è anche un paradosso:
- comunichiamo con lo stile voluto dall’ immediatezza?
- passiamo da una cornice all’altra con la velocità esaltante della condivisione esponenziale?
- subentriamo per comodità in mari di silenzio, perché le parole si digitano e si esprimono con un linguaggio sempre più minimalista?
- è vero che non viene più ricercata la forza espressiva che eredita il fascino del saper narrare?
- riduciamo progressivamente il nostro vocabolario?
Le parole sono sempre più povere, usuali; sono esse stesse cornici piccole e deboli, come francobolli. Ecco dunque il paradosso: siamo di fronte alla possibilità di navigare cornici infinite ma, spesso, piene di insignificanti francobolli?
Io voglio credere profondamente che la forza del WE possa aiutarci a recuperare originalità semantiche sotto la spinta forte del “volersi capire”, e risvegli in noi la curiosità di riaprire le cornici delle parole con il fine di espanderle oltre, verso la rivisitazione del loro significato, per non perdere l’altra dimensione della comunicazione: quella delle voci.