Articoli Frontiers of We-Interaction 2013…
Il 24-25 ottobre si è tenuta a Milano l’edizione 2013 di Frontiers of Interaction; come da “tradizione”, un team di persone Logotel/Weconomy ha seguito l’evento dal vivo. Nel post il report completo a cura di Giorgio De Marco e il link allo Storify Logotel.
Domenica scorsa, mentre guidavo, il mio cellulare mi avvisa di una breaking news. Sblocco lo schermo, trascino la tendina delle notifiche e sul NYT leggo che Lou Reed è morto all’età di 71 anni. Facendo un po’ di giocoleria tra il volante ed il mio (enorme) cellulare, riesco ad accedere all’app di YouTube e a twittare un messaggio (con video allegato) che esprime la mia tristezza e prova anche il mio amore per il rock americano degli anni ’60-’70. Tutto questo dura 3 minuti. In questi tre minuti si può riassumere la maggior parte del Frontiers of Interaction 2013: capiremo alla fine perché.
L’evento, caratterizzato dall’ampia diversità prismatica di partecipanti, argomenti e speakers, era focalizzato sui costanti mutamenti dei confini e dei contenuti che fanno assomigliare il mondo dell’interaction design alle grandi esplorazioni geografiche, responsabili, un tempo, di ridisegnare le mappe delle terre conosciute. Una volta spinte da interessi commerciali, militari o religiosi, le esplorazioni dell’interazione contemporanea sono animate da cambiamenti culturali, innovazioni tecnologiche e teorie antropologiche.
La mappa dell’evento, disegnata con esperienza dal team guidato tra gli altri dal co-autore Weconomy Leandro Agrò, era divisa in due giornate. La prima, di pratica e metodo, si è sviluppata su 8 workshops (4 al mattino e 4 al pomeriggio) con un workshop plenario finale tenuto dall’abile comunicatore e visual teller Dave Gray. La seconda giornata è stata incentrata su diversi speakers che esplorano il mondo dell’interazione con differenti angolazioni ed ha avuto il suo climax con l’intervento di Richard Saul Wurman, fondatore di TED.
Il workshop Future Proof Design, tenuto da Simone Cicero, aveva come punto pivotale lo sviluppo di modelli di piattaforme digitali più efficaci ed efficienti grazie all’utilizzo di uno strumento, sviluppato dallo stesso Simone Cicero, ispirato all’ormai celebre Business Model Canvas dove viene mappata la generazione ed estrazione di valore sulla piattaforma da parte sia degli sviluppatori che degli utenti stessi.
Un altro workshop molto utile in una sua traduzione metodologica (oltre che divertente) è stato quello tenuto da Louisa Heinrich ed intitolato Your Life as a Cyborg Superhero.
I partecipanti, divisi in gruppi, avevano il compito di identificare un super eroe, stabilirne i superpoteri e ‘sviluppare’ il progetto tenendo conto delle tecnologie disponibili adesso o nel prossimo futuro. Oltre al divertimento rappresentato dalla creazione del personaggio (i supereroi creati andavano dal super-pompiere al super-turista) l’utilità metodologica del workshop è possibile trovarla nell’utilizzo di strategie di personificazione per l’esplorazione di diversi mondi e soluzioni.
La prima giornata si è poi, come già anticipato, conclusa con un workshop plenario tenuto da Dave Gray, che, utilizzando l’approccio del World Cafe, ha fatto interagire i circa 350 partecipanti tra di loro, fornendo loro un alfabeto visivo ed incentivandoli a sviluppare una semplice infografica della vita di un proprio vicino di posto.
La seconda giornata ha visto succedersi 12 speakers principali che hanno trattato argomenti posti su uno spettro di contenuti molto ampio. Le cinque principali aree tematiche del programma della giornata erano rappresentate da: Autonomous Cars, Nomad Technology, Media Revolution, Design Everything e Human-Human Interaction.
Il primo argomento, trattato da Mark Rigley, Holger Weiss e Brad Templeton, prendeva in analisi un settore che per certi aspetti è in forte crisi, quello dell’automotive, restituendogli una dimensione futuribile, attraverso la proiezione di un futuro prossimo che vede le automobili non solo sempre più connesse a servizi in remoto ma anche in grado di muoversi autonomamente senza, o con poco, controllo da parte dei passeggeri. In questo segmento è anche interessante sottolineare la presenza di una startup sino-italiana, la OSVehicle, con il loro primo prodotto: un’automobile interamente open source del costo di poche migliaia di euro.
Nel secondo segmento Fabian Hemmert, Kyle Seaman e Jared Ficklin hanno discusso di Nomad Technologies con tre approcci differenti. Fabian Hemmert ha proposto una lettura emozionale della tecnologia. Una serie di esperimenti da lui sviluppati suggeriscono un futuro della mobile technology che cambia forma e si ‘esprime’ con gesti e posizioni.
Seamen ha, invece, parlato di come prodotti high tech, propri del regno dei geek, siano stati, negli ultimi anni, introdotti e legittimati anche nel ‘mondo normale’ grazie a elementi di gamification che hanno permesso di sviluppare sistemi integrati con la vita di tutti i giorni (vedi Nike Fuel Band o Nest).
Il terzo speaker, Jared Ficklin, ha concluso il segmento sulle Nomad Tech mostrando i risultati dei suoi esperimenti sull’interazione con elementi di domotica, dando confini al next pattern of computing, non più un tascabile tunnel di computing immersivo ma piuttosto un pattern d’utilizzo condiviso, head-up e cooperativo.
La ripresa dopo il pranzo ha rappresentato l’apice della giornata (almeno in termini di prestigio dello speaker e relativa reazione da parte dell’audience). Richard Saul Wurman, fondatore di TED ed intellettuale con la passione per l”information architecture’ (espressione da lui stesso coniata) ha, con il suo intervento di quasi un’ora, riportato il pubblico dalla dimensione human-machine a quella human-human. Con il suo carisma e la sua abilità di storyteller, Richard, attraverso piccole storie di senso e progetti da lui sviluppati o in fase di sviluppo (WWW, 555, Urban Observatory), ha elaborato tre principali elementi di riflessione. Il primo è il concetto espresso dall’acronimo ANOSE e riguarda i cinque modi per guidare l’innovazione. ANOSE, che è stato usato perché ricorda la parola naso e, quando si pensa ad un’idea, si fa il gesto di grattarsi il naso (o almeno questo è quello che Richard fa), sta per: Addition (aggiungi qualcosa di nuovo al tuo processo, prodotto o progetto), Need (esplora i bisogni delle persone con le quali interagisci o il tuo progetto interagisce), Opposites (se fai qualcosa, prova a fare l’opposto), Subtraction (togli qualcosa dal tuo processo o da quello che stai provando a creare – l’eccesso può inibire la generazione di valore) ed Epiphany (ogni qual volta che si ha un momento ‘a-HA!’ si deve coglierlo e valorizzarlo).
In un secondo momento, Wurman ha introdotto il suo ultimo progetto, affrontando così il tema di una comunicazione più umana. WWW è stato, infatti, un progetto che ha visto 45 speakers da diversi backgrounds, accoppiati e stimolati a discutere specifici argomenti, riportando il livello della comunicazione ad una dimensione più improvvisata e human-human. Le dinamiche di conversazione tra le persone generavano percorsi di senso inaspettati ed estremamente ricchi di livelli di significato diversi. L’ultimo progetto del quale Richard Saul Wurman ha parlato è stato Urban Observatory, che ha come valore simbolico e letterale quello di riportare sulla stessa scala, e rendere così confrontabili ed analizzabili, realtà territoriali diverse per dimensioni e dinamiche e che vivono in contesti e posizioni diverse.
Lo speaker successivo, Vincent Sider (VP di BBC Worldwide), ha introdotto il segmento dedicato alla Media Revolution. Il suo speech ha essenzialmente analizzato alcuni dei principali pattern contemporanei di fruizione della TV (Catch-Up tv, Video on Demand, Social tv) considerando gli essenziali elementi strategici per aumentare l’awareness, il traffico, connettere maggiormente gli spettatori ed ingaggiarli di più.
Gianni Riotta ha invece spiegato come il vero pericolo per il giornalismo ed i giornali di oggi non è tanto l’abbassamento delle vendite di giornali ‘fisici’ a dispetto di mezzi alternativi, quanto la sottocrescita (non proporzionale alla diminuzione dei giornali ‘fisici’) degli stessi mezzi alternativi. La sessione sulla Media Revolution è stata brillantemente completata da Ben Hammersley, il quale ha appassionatamente difeso l’idea che dietro ad ogni progetto, oggetto o interazione, ci sia un’idea politica precisa. Acquistando l’oggetto o unendosi ad una piattaforma, si aderisce ad una determinata idea, ad un determinato programma.
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L’ultima parte di questa due giorni, che avrebbe forse meritato uno spazio anche maggiore, era dedicata al Design. La sessione ha visto la partecipazione di due speakers; il primo, Sigurdur Thorsteinsson, ha affrontato i temi della Design Driven Innovation e di come, per creare innovazione radicale, si debbano considerare non gli users ed i consumatori o le interazioni ma le persone e le relazioni. Il secondo speaker, Matt Cottam, presentando il suo progetto Google Web Labs, ha mostrato quanto efficace e mitopoietica possa essere la relazione ben progettata tra on-line e on-site.
Se solo Lou Reed fosse morto nel near-present o nel near-future del quale si è parlato a Frontiers of Interaction 2013, i miei 3 minuti in macchina sarebbero stati molto diversi. La mia autonomous driving car mi avrebbe permesso di controllare con più comodità, su una piattaforma di news più interattiva, la notizia e di condividerla, magari, con un gesto ancora più semplice. Oppure, nel caso le self-driving car fossero state troppo costose, avrei probabilmente guidato una macchina open-source, ed il mio cellulare si sarebbe arrabbiato con me per il fatto che stavo provando a twittare alla guida.
Near-present o present che sia, RIP Lou Reed. E appuntamento a #FoI14.
A questo link è possibile visualizzare lo Storify completo di #FoI13 a cura di Logotel.