Articoli Tra nomadismo e collaborazione (pt.3)
Terza e ultima parte del megapost di Leandro Agrò: un nuovo aneddoto e le conclusioni su come la Rete ha mutato il nostro mindset di persone e di lavoratori, la nostra creatività, i nostri concetti di attenzione e di concentrazione.
continua dalle scorse puntate:
parte 1
parte 2
Widenoise 3 è un’applicazione che è stata sviluppata nel contesto del progetto di ricerca europeo EveryAware, e che ha visto al lavoro due diversi team: uno per lo sviluppo iPhone, l’altro per Android.
I due team avevano obiettivi strettamente interconnessi, e il progetto è stato così condiviso in tutte le sue parti su Dropbox e GitHub. Le discussioni relative allo sviluppo del codice sono sempre state PUBBLICHE su GitHub (anche perché qui si tratta di un progetto open source), i file di lavorazione finivano su Dropbox e il confronto su approccio, progettualità e comunicazione sono state gestite attraverso un’infinita discussione via Skype.
In prima approssimazione, si potrebbe dire che le parole erano su Skype, i pixel su Dropbox, il codice su GitHub.
Le due applicazioni, insomma, sono state realizzate da un team totalmente delocalizzato che, per giunta, lavorava insieme per la prima volta.
Io – nel ruolo di “papà” di Widenoise – ho lavorato su concept e UX da MILANO mentre Davide “Folletto” Casali realizzava la UX/UI da LONDRA. Il lato server-side è nato in quel di TORINO da Fullo, con il supporto di Roberto Ostinelli dalla CALIFORNIA. David Orban ha gestito la parte amministrativa da NEW YORK CITY, mentre la leadership del team Android era a Milano (ma non ci siamo mai visti!), e quella del team iPhone in SICILIA.
Un giorno, facendo l’elenco della dozzina di persone presenti nella lista Skype, e associandone ognuna ad una città diversa, mi è venuto spontaneo chiedere: “ma Emilio, dov’è che sta?“.
E l’amico Roberto Chibbaro, leader dello sviluppo iPhone, mi rispose: “è qui, seduto accanto a me!”.
La lista dei nomi e delle città era così variegata che quell’anomalia (due persone nello stesso luogo fisico?!) ci sembrò anacronistica. Un po’ come in quella storia di fantascienza in cui due viaggiatori dello spazio che si incontrano per la prima volta si trovano in estremo imbarazzo perché sono gli unici esseri che conoscono che hanno la medesima madre e il medesimo padre. Stravaganti.
Insomma: questa storia dei due che lavoravano insieme ci sembrò istintivamente così “diversa” da suonare ridicola. E la chat esplose di risate.
La distorsione spazio-temporale di cui siamo protagonisti (o vittime?) è abnorme.
Abbiamo modificato completamente il modo con cui comunichiamo, introducendo molteplici sfumature possibili in fatto di sincronicità, invadenza, emotività.
Abbiamo ridisegnato la geografia del vicino/lontano e cambiato la percezione del tempo, cominciando a vivere lunghe giornate in cui lavoro e non-lavoro si spalmano l’uno sull’altro, in un continuum indissolubile.
Alla fine – ci siamo detti – non si tratta di follia né di sfruttamento. Semplicemente, il continuum raffigura quello che siamo.
Già: ma cosa siamo?
Non è più cosi vero, per esempio, che siamo specialisti, che siamo ingranaggi di una catena di montaggio o di un “orologio perfetto”. Siamo, semmai, Rete, siamo attenzione perennemente frammentata, siamo multitasking, siamo ibridi.
Per molto tempo – direi cinque anni almeno, ovvero una enormità nel tempo della Rete – ci è stato insegnato che essere focalizzati, concentrati, totalmente attenti, era la chiave del successo.
Recentemente, l’amico GianAndrea mi ha segnalato questo articolo: Leonardo’s To-Do List. Qui la tesi è opposta, ovvero: previo adeguato allenamento, essere non focalizzati avrebbe grandi benefici. Di fatto, avere la capacità di seguire piste apparentemente irrilevanti e assecondare le digressioni (qualcuno le definirebbe “distrazioni”) che accadono mentre lavoriamo è probabilmente il modo migliore per attivare delle connessioni neuronali che – restando concentrati – rimarrebbero sopite.
La differenza è la potenziale emersione di un livello di creatività che il restare concentrati NON consentirebbe.
Questo approccio è tanto semplice quanto rivoluzionario. Un po’ “connecting dots” alla Steve Jobs, un po’ lateral thinking.
Sapendo tutto ciò, so che vi sentirete meno in colpa per aver twittato, letto delle email, parlato con gente di fusi e luoghi diversi, risposto al telefono… il tutto mentre leggevate questi lunghi articoli.
Abbattere spazio e tempo per come li conoscevamo fino a poco tempo fa avrà certamente aperto nuove strade e connessioni mentali che vi saranno presto utili.
E se anche così non fosse, adesso almeno sapete dove sta Emilio: a Ragusa, in Sicilia. Prossimo alla casa del Commissario Montalbano.