Una Visione completamente diversa Tra bisogni individuali e futuri desiderabili
Gli shock degli ultimi anni determinano “spettri di scelta” tra i cui estremi si agita un’inevitabile tensione tra bisogni individuali e collettivi. Ai designer la sfida di bilanciare le diverse esigenze per co-creare futuri più desiderabili.
La prospettiva individualistica sembra non essere più sufficiente dinanzi alle grandi trasformazioni che stiamo affrontando. Vale anche nei luoghi di lavoro? L’Office shock che hai analizzato porterà a sviluppare una prospettiva comunitaria anche nel modo in cui lavoreremo in futuro?
L’office shock nasce da tutte le crisi che abbiamo avuto negli ultimi anni: la guerra, l’inflazione, la crisi energetica, ma anche fenomeni come Me-Too e Black Lives Matter. Ogni shock determina uno spettro di scelte e uno di questi shock riguarda lo scopo del nostro lavoro. Sempre più persone si pongono domande sul tempo passato in ufficio o a casa, sulle modalità lavorative, ma soprattutto sul perché lavoriamo. Le risposte si distribuiscono su due estremi: da un lato dello spettro di finalità ci sono le esigenze individuali, mentre all’estremo opposto ci sono quelle collettive. Sono due istanze in tensione tra loro, che devono trovare un equilibrio. Ma serve soddisfarle entrambe: non è realistico avere una comunità che non soddisfi i bisogni individuali.
Anche analizzando gli altri spettri di scelta che determinano l’office shock, troviamo sempre una tensione, che può essere positiva se viene utilizzata per imparare, cambiare e trovare un terreno comune, mentre può facilmente trasformarsi in stress se inchioda ciascuno nel proprio spazio.
Questa tensione tra esigenze individuali e collettive è un grande spa- zio per poter co-creare la direzione che vogliamo prendere per trovare un equilibrio, e trovare un modo per soddisfare entrambe le esigenze. Le scelte degli individui, di singole organizzazioni e comunità saranno diverse, ma se siamo in grado di vedere i punti in comune e le differenze allora sarà più facile sincronizzarle, in modo da dar forma ad azioni future che trasformino questa tensione in una grande opportunità di cambiamento.
C’è dunque sempre una sorta di tensione tra le esigenze individuali che devono essere affrontate e le esigenze collettive. E poi ci sono le grandi trasformazioni, che non possono prescindere da un approccio collettivo…
La buona notizia è che oggi le persone sono più disposte a lavorare insieme e a fare rete rispetto a 15-20 anni fa. Le tecnologie hanno contribuito a influenzare la nostra mentalità in questa direzione: tutti sanno come usare Zoom, inserire documenti in cartelle condivise e lavorare in modo sincrono e asincrono.
Tuttavia sono ancora aperte questioni fondamentali legate allo scopo del lavorare insieme e al ruolo del capitalismo nell’influenzare il lavoro comunitario. Lo dico chiaramente, se il focus aziendale rimarrà sui profitti trimestrali non ci sarà nessuna accelerazione verso pratiche più sostenibili. Questa evoluzione deve andare di pari passo con altri cambiamenti sistemici nei rituali, nei modelli di business, nelle aspettative umane di crescita.
Questa tensione tra esigenze individuali e collettive è un grande spazio per poter co-creare la direzione che vogliamo prendere per trovare un equilibrio
Serve quindi un approccio sistemico. Quale ruolo può giocare il design in questo cambiamento?
Il ruolo dei designer è contribuire non solo a incoraggiare le conversazioni su questi shock e sulle possibili risposte, ma anche di cercare soluzioni efficaci a queste tensioni, per poi trasformarle in buone opportunità per futuri migliori e, infine, mobilitare le persone a entrare a far parte di una comunità. Come designer siamo addestrati a risolvere i problemi legati al “qui e ora” e a farlo da soli, ma credo siano due errori, frutto di una mentalità sbagliata. Dobbiamo invece lavorare collettivamente, anche quando non è facile.
Un esempio affascinante sul ruolo del design in queste sfide sistemiche è il The Jeans Redesign Project della Ellen MacArthur Foundation. Nasce dalla volontà di definire delle linee guida per rendere circolare l’economia che ruota attorno alla produzione e distribuzione dei jeans. Nell’intera catena del valore di questi pantaloni ci sono molti attori, materiali e cicli di produzione: un semplice paio di jeans è quindi incredibilmente complesso. Il Jeans Redesign Project è ripartito dalla fase di progettazione – eliminando quei rivetti metallici che rendono i jeans non riciclabili –, per abbracciare una sfida più ampia: creare una comunità in grado di elaborare standard per tutti gli attori nell’ecosistema dei jeans – che sono centinaia, ognuno ripiegato nel proprio universo.
Il design dovrebbe guardare proprio a interventi sistemici. Non si tratta di fornire un servizio, né una soluzione puntuale. Non si tratta di tecnologia, ma di avere una visione del futuro che si desidera, per immaginare cosa succederebbe se quel futuro si realizzasse davvero. E poi ascoltare individui, organizzazioni e comunità su ciò che intendono fare. Questo richiederà una certa sincronizzazione, perché ciò implicherà la nascita di nuove tensioni da affrontare, tra istanze collettive e individuali.