Management Generation Mix – Siamo ‘attrezzati’?
Siamo sicuri di conoscere esattamente di cosa stiamo parlando quando quando discutiamo di generazioni?
Immaginiamoci di fronte ad un test a sorpresa. Aula ordinata, un foglio bianco con qualche indicazione, un quesito con risposta a scelta multipla e pochissimo tempo per rispondere. Ecco il quesito: “Adesso tutti parlano di generazioni. Perché?». Ecco le risposte possibili: 1) «Perché la sfida è reale»; 2) «Perché la sfida non è reale»; 3) «Perché tutti parlano di generazioni» [Il buon vecchio «perché sì», ndr]; 4) «Non saprei».
In effetti è diventato necessario chiedersi cosa ci sia dietro tutto questo parlare di generazioni. Spesso si ha l’impressione che a moltiplicarsi sia solo una potente narrazione mediatica. L’ennesimo tentativo di creare la percezione di un fenomeno, più che non una adeguata comprensione di esso. Che il ‘Generation Mix’ sfidi – e non poco! – il business e la società odierni, è però un fatto evidente. Il recente Quaderno Weconomy lo ha ulteriormente mostrato. Il differenziale di età nel mondo del lavoro e del business è diventato una questione scottante perché, chiaramente, non è più una semplice cifra, anche se alta. Ci sono fattori qualitativi in gioco: visioni, percezioni, sentimenti. Non è un semplice “i ‘vecchi’ diminuiscono, i ‘giovani’ entrano in scena”. Le vecchie generazioni non escono così velocemente di scena e le nuove non entrano così convinte e contente. E poi dove ‘entrano’? Anche le direzioni nazionali dei partiti ora sono diventate terreno di incontri (e, chissà, forse in futuro scontri) generazionali. Ci sono millennials trend-impact, ci sono anche ‘millennials influencers’. E blanditi non poco, a quanto pare…
Qualche fatto però dovrebbe far riflettere.
Entro il 2024 un quarto dell’intera forza lavoro statunitense sarà over 55 (più del doppio di trent’anni prima). Ecco perché – leggiamo su The Atlantic – «sono gli americani più anziani che, senza far rumore, stanno adottando gli stereotipi dei Millennials, più di quanto non facciano i veri Millennials». Il senso del discorso è chiaro: stanno accadendo cose nuove e cambiamenti rilevanti, è facile pensare che il nuovo dipenda dal nuovo. Ma che siano i giovani (ed in alcuni casi i giovanissimi) a giocare il ruolo di innovatori rischia di essere un ‘mantra’ molto comodo ma ingannatore, perché in realtà «molti dei trend attribuiti ai Millennials corrispondono in realtà meglio ai loro genitori». Già il recente ‘The 2017 Deloitte Millennial Survey’ aveva mostrato con disarmante chiarezza che la percentuale dei Millennials che preferisce un impiego full-time è più che doppia rispetto a quella di chi anela ad un posto «freelance/consultant». Una bella botta al mito del giovane irriducibilmente sradicato, on-the-road, impegnato full-time a non essere impegnato full-time.
La domanda è quindi piuttosto semplice: abbiamo strumenti ma soprattutto l’apertura mentale corretta per interrogarci sulle nuove generazioni? Non è una questione di intelligenza, ovviamente. Ci stiamo, cioé, ponendo i giusti interrogativi, stiamo utilizzando le categorie corrette per comprendere il fenomeno? Il fenomeno è reale, non è fake. Ma noi stiamo disimparando almeno alcuni dei ritornelli che ormai sentiamo continuamente sulle nuove generazioni: impazienti, creative, progressive, rivoluzionarie, open source…?
Dobbiamo prima svuotare il nostro serbatoio di stereotipi. Così l’atterraggio sulle nuove generazioni magari sarà più brusco, ma almeno la relazione sarà vera. E potremo essere tra i non molti che ci capiranno qualcosa.