Una Visione completamente diversa Progettare un cambiamento partecipativo per le città
Persone che risiedono, lavorano e spendono continuativamente il loro tempo in uno stesso luogo sono comunità “situate”: quando sono predisposte a partecipare ad azioni collaborative diventano comunità di progetto, protagoniste della trasformazione del quotidiano.
Il legame tra città e persone sta evidenziando un cambio di paradigma nel quale l’abitante non è più spettatore di un luogo che cambia, ma è il protagonista principale del cambiamento. Questo sta succedendo grazie a un rinnovato senso di attivismo civico che molto spesso va oltre l’iniziativa del singolo per trovare una maggiore forza nel gruppo. Che sia una situazione di informalità o che abbia una struttura codificata, oggi l’essere “comunità” significa avere un ruolo politico, sociale, attivo nella trasformazione del quotidiano.
Le “comunità situate”
La “comunità situata” fa riferimento a un sistema di persone che hanno un legame in quanto risiedono, lavorano, visitano e spendono continuativamente il loro tempo in uno stesso luogo. Una comunità di questo tipo può essere quella del vicinato, di un paese, di uno spazio di lavoro, di incontro, di uno spazio pubblico, per estensione un qualsiasi luogo geografico specifico frequentato con continuità da un certo numero di persone. Una comunità offre molte caratteristiche tipiche di una relazione sociale profonda: sicurezza, familiarità, supporto, lealtà. L’apprezzamento reciproco delle persone in questo tipo di contesto si basa sugli sforzi e sul contributo dato da ciascuno al gruppo, piuttosto che sullo status individuale.
Quando le “comunità situate” sono predisposte a partecipare ad azioni collaborative, è molto più facile progettare, produrre e attivare soluzioni per un modo di vivere migliore. C’è infatti un livello di proattività che facilita la creazione di soluzioni per un miglior vivere quotidiano: da piccoli eventi più legati all’intrattenimento o alla divulgazione culturale, a servizi autogestiti che includono soluzioni di sharing, ad azioni più rispondenti a esigenze ben specifiche dei quartieri che interessano spazi pubblici molto spesso residuali (orti urbani, aree di gioco improvvisate) fino a vere e proprie micro-trasformazioni di spazi in attesa di un cambiamento strutturale che assumono il carattere della temporaneità per testarne la validità, l’efficacia, il corretto uso e il beneficio indotto sulle persone (urbanismo tattico, soluzioni legate all’emergenzialità). Le possiamo chiamare “comunità di progetto”, ovvero gruppi di persone che nascono intorno a una risposta a un loro bisogno in termini fattivi, progettuali e ne portano avanti l’idea fino alla realizzazione, spingendosi anche oltre, alla fase d’uso, di test, di miglioramento.
Il designer come attivista progettuale
In molti progetti urbani che hanno previsto un ampio coinvolgimento dei cittadini, il ruolo del designer emerge come attivista progettuale: una figura con competenze interdisciplinari che rimane attiva in tutte le fasi del pro- cesso, non solo nell’ideazione ma anche nella realizzazione degli interventi stessi.
In molti progetti urbani che hanno previsto un ampio coinvolgimento dei cittadini, il ruolo del designer emerge come attivista progettuale
Il progettista è quindi colui che può creare convergenza, individuando e traducendo i bisogni e le idee delle persone e lo fa a partire da tre qualità che lo accompagnano durante tutto il processo:
- la capacità di generare empatia con le comunità di riferimento, ovvero un processo che agevola il consolidamento della credibilità del designer e che crea così un rapporto di fiducia con le persone con cui progetta;
- la pazienza, ovvero l’entrare in punta di piedi in contesti già esistenti che consente di dare il giusto tempo all’ascolto, all’osservazione, alla creazione di rapporto, all’ideazione e alla messa a terra di Il tempo è un fattore fondamentale perché garantisce una costruzione graduale degli obiettivi e la calibrazione dei rapporti fra i singoli componenti del sistema comunità;
- la capacità di generare visioni, scenari e soluzioni attingendo da un panorama di conoscenze che vanno oltre l’hic et nunc, ovvero il trasmettere un approccio strategico al problema da risolvere, piuttosto che suggerire una soluzione puntuale.
In questo modo il vivere la città assume un approccio “dal basso” che dialoga e interagisce con quello “dall’alto” con casi anche virtuosi. Ciò è dovuto da una parte alle numerose iniziative legate all’innovazione sociale che stanno lentamente cambiando il modo in cui i cittadini usano/trasformano/suggeriscono le città partendo dal livello di quartiere (urbanistica tattica, mobilità lenta, guerrilla gardening, social streets) e dall’altro a una serie di strumenti che le amministrazioni mettono in campo per agevolare queste energie (bi- lancio partecipativo, patto di collaborazione, crowdfunding civico ecc.).
Affiancare gli abitanti dei territori nei processi partecipativi li rende consapevoli dei benefici del progetto e li coinvolge attivamente. L’applicazione di metodi partecipativi e il coinvolgimento dei cittadini nella rigenerazione del- le città, permettono di creare una nuova dimensione affettiva nei confronti degli spazi urbani riscoperti. Lo sviluppo di un senso di appartenenza – a un luogo, a un progetto o a una comunità a esso legata – porta a una volontà maggiore di prendersi cura del luogo stesso nel tempo, rendendo il processo di rigenerazione efficace e a lungo termine. È questo il momento in cui gli attivatori innescano un processo di “jump-out”, riconoscendo l’autonomia organizzativa della comunità e il completamento del processo di enabling. Le “comunità di progetto” diventano quindi un soggetto oggi cruciale per lo sviluppo delle città perché evidenziano come l’expertise generata dall’essere in un luogo in modo attivo, implica il riappropriarsi dei luoghi pubblici, per immaginarne nuove possibilità d’uso e creare nuovi legami.