Progettare connessioni

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Un'alleanza è possibile: Making e Design tra artigianato e impresa.

sintesi

La grande attenzione di questi anni al lavoro artigiano è legata alla possibilità di connettere il “saper fare” a un contesto economico e sociale che non è il semplice perimetro della bottega.

Il termine “artigiano” è diventato molto di moda nella sua versione inglese, “maker”. La parola italiana, effettivamente, porta ancora con sé un che di “polveroso”, legato alla nostra cultura che associa il termine a un passato in qualche modo ingombrante, del quale c’è chi dice dovremmo addirittura disfarci. Oggi, dall’America, dalla Francia, dai Paesi del Nord Europa, ci arriva una sorta di richiamo all’ordine: italiani, in casa avete un tesoro.

Sotto la pressione di questi stimoli (il “making” legato alle nuove tecnologie e ai processi di open design nell’accezione americana, o il design artigiano di lusso nel resto d’Europa), anche nel nostro Paese stiamo iniziando a capire che c’è qualcosa di importante e di fortemente innovativo nel fare artigiano. Sempre di più, oggi, ci rendiamo conto di come pensare e fare siano due dimensioni intimamente collegate.

Due sono però i pregiudizi che complicano il nostro pensare all’artigianato come un qualcosa di nuovo, fresco e innovativo. Il primo equivoco sta nell’inesorabile associazione di idee tra il concetto di “artigiano” e quello di “piccola” o addirittura “micro” impresa. Diciamolo: è un problema nostro. Per fare un esempio, Patrick Thomas, CEO di Hermes, ha recentemente reclamato sui media la propria identità di “artigiano contemporaneo” con 3 miliardi di euro di fatturato. L’altro tema è l’opposizione tra lavoro artigiano e innovazione d’industria, tradizionalmente concepiti come qualcosa di nettamente (e fisicamente) separato. Non è (più) così: questi elementi sono molto più saldamente fusi tra loro di quanto si creda. Per dirne una, l’artigiano veneziano che fa una fortuna costruendo chiavi su misura in una minuscola e deliziosa bottega può essere connesso all’importante operatore della metallurgia giapponese che gli fornisce grandi quantità di un filo di titanio ad alta tecnologia.

Se c’è un’alleanza possibile è proprio questa: abbiamo bisogno di progettare nuova connettività, di offrire ad artigiani e makers contemporanei nuove opportunità, nuove connessioni fino a poco tempo fa impensabili con l’industria, con la ricerca, con il design, con il consumatore finale. Connessioni che forse non hanno ancora un nome ben preciso ma che gravitano dentro e intorno a ciò che chiamiamo “internet”. Casi globali come Etsy.com o locali come GarageDesign.it rappresentano snodi di nuove filiere alle quali non siamo ancora abituati, ma che diventeranno presto motori di un nuovo modo di organizzare l’innovazione, la produzione e il rapporto con la domanda, un nuovo modo di costruire dialoghi e relazioni.

Qui sta la ragione economica del rilancio del lavoro artigiano; ma la gestione di queste relazioni non è affatto scontata. Il saper fare di matrice artigianale richiede attenzioni particolari: rispetto per l’autonomia e l’identità di chi lavora, curiosità per quello che si può imparare dalla pratica, tempo per rispettare chi impara. Ed è una tipologia di collaborazione, questa, che ha un suo specifico rispetto a quello che propongono i manuali tradizionali di management o le guide di ebusiness.