La vera complessità? Le persone, ancora da scoprire

People La vera complessità? Le persone, ancora da scoprire

Dall’evento People Now, organizzato da Logotel il 27 maggio scorso, uno spunto di riflessione su cosa vuole dire essere persone al giorno d’oggi, sulla loro centralità all’interno delle imprese e soprattutto sull’importanza di essere “ridestate”.

Il 27 maggio Logotel ha organizzato il primo di una serie di appuntamenti dedicati alle imprese e alle persone che lavorano al loro interno.

L’evento, dal nome People Now, che si è tenuto in via Ventura 15 a Milano, è stata l’occasione per riflettere insieme ai responsabili commerciali e HR delle 40 imprese partecipanti sulla centralità delle persone nelle organizzazioni e su come liberare la loro energia, attraverso processi di apprendimento e trasformazione, perché possano diventare gli enzimi del nuovo DNA aziendale.

Pubblichiamo qui uno degli spunti di questo incontro sulle persone e cosa vuol dire esserlo in un mondo contrassegnato dalla complessità.

Le persone restano sempre da scoprire

Le persone restano sempre da scoprire. Perché? Perché ‘persona’ non è semplicemente ‘uomo’, ossia un appartenente ad una specie vivente. ‘Persona’ dice un essere profondo ed irriducibile. Per questo mai completamente conosciuto e posseduto. Niente di astruso, in fondo. Pensiamo ai rapporti personali più evidenti e prolungati della nostra vita, a nostra moglie (o marito), ai nostri genitori o ad alcuni amici con i quali ‘da una vita’ attraversiamo di tutto. Uno sguardo serio ed obiettivo riconoscerebbe senza grande fatica  che non si sa ancora tutto di loro – anche dopo una vita! –, che cioè ancora sorprendono. E che in futuro potrà accadere di nuovo.

Siamo eccedenti

Possiamo infatti essere immersi completamente in un contesto, in un ambiente o in un rapporto, ma nella persona resta qualcosa di irriducibile, di eccedente. Come sarebbero possibili altrimenti una iniziativa, una creatività? E potremmo ‘innovare’ o parlare di ‘visioni’ senza questa nostra ‘eccedenza’ rispetto ad ogni sfondo che ci circonda.

E che dire della ‘complessità’?

Lo stesso si dovrebbe dire di altre parole magiche del nostro lessico come ‘trasformazione’, ‘accelerazione’. Il primo ‘luogo’ di questi fenomeni sono le persone. Anche la ‘complessità’ è coglibile (e gestibile) solo da qualcuno che è la sola realtà veramente complessa. Appunto la persona. D’altra parte cosa c’è di più complesso dell’agire umano. È più facile spiegare una valanga o l’abbraccio tra un uomo e una donna? Ma senza la coscienza di questa nostra complessità, niente di complesso può apparire (appiattiamo tutto), e niente di complesso, quindi, sapremo gestire.

Non c’è niente di meccanico

La coscienza di essere persone, però, non è automatica. Non siamo persone come certi apparecchi sono lavatrici. Abbiamo bisogno di assumere attivamente questa condizione. Dobbiamo cioè coltivare la consapevolezza di questa profondità e di questa irriducibilità e cor-rispondere ad essa con le nostre azioni.

Risveglio della persona

Le persone non si (ri-)scoprono da sole. Qualcuno, ci chiama, ci ‘convoca’ dentro un mondo ‘personale’. Qualcuno, cioè, ci ridesta. Un grande — e misterioso — filosofo dell’antichità, Eraclito, affermava che coloro che sono desti abitano un mondo comune (che è quello vero), chi invece dorme, abita un mondo privato, tutto suo. Cioè: solo chi è desto, sveglio si trova, comunica e si intende con altri con la certezza di riferirsi ad una realtà che è la nostra, non solo la mia. L’essere desti quindi è la condizione vera di ogni comunicazione/condivisione/collaborazione. Di tutti i ‘co-‘ di questo mondo. Chi non si desta crede di condividere il mondo degli altri ma in realtà incontra solo il suo mondo mentale.

Un ‘io’ consistente

Riscoprirsi persone, quindi. Cioè uomini desti. Si potrebbe dire tutto questo in altro modo: esserci in prima persona, non in terza. La vera posta in gioco nella (ri-)scoperta della persona, infatti, è quella di tornare a dire ‘io’ in un certo modo.

Se riflettiamo bene le persone che stimiamo di più sono quelle che 1) intervengono giocando se stesse innanzitutto nel contesto in cui sono; 2) quando dicono «io» ti aspetti che accada qualcosa, non solo per te ma per tutti quelli che sono lì attorno. Quindi per noi. Da cosa d’altro può nascere una vera condivisione?

Dire ‘io’ in questo modo non è parlare, ma è già agire. Può trattarsi di una semplice domanda che pongo o il mio aderire ad una proposta, chi risponde dicendo ‘io’ in un certo modo è già in trasformazione. Le sue parole, i suoi atti e i suoi comportamenti inizieranno a mostrare contorni e a disegnare traiettorie ed intrecci nuovi.