People La gabbia delle competenze obsolete e il “senso” del disimparare
Come “disimparare” qualcosa possa essere una virtù e avere ricadute positive sulle organizzazioni e sul benessere individuale
- Di fronte a una situazione di cambiamento, dobbiamo acquisire la consapevolezza che alcune competenze vanno dimenticate
- Le competenze standard possono diventare la nostra gabbia
Il lampionaio del quinto pianeta possedeva le competenze necessarie per rispondere alle richieste del suo imprecisato datore di lavoro, che gli chiedeva di accendere, al tramonto, l’unico lampione presente sul sasso, che girava su sé stesso mentre orbitava chissà intorno a quale stella, e di spegnerlo, all’alba. Era “la consegna”, e tanto bastava.
Sennonché, da un certo punto in avanti, il pianeta si era messo a girare sempre più velocemente intorno al proprio asse, ragione per la quale giorno e notte si susseguivano a distanza di un minuto. Il lampionaio si adeguò a quell’evoluzione col medesimo zelo di prima e senza porsi domande, salvo lamentarsi di fare un “mestiere terribile”. Nel giro di una manciata di secondi gli toccava accendere e poi spegnere il lampione, quasi fosse la freccia di una delle nostre auto. Tutto il tempo così, senza un attimo di respiro.
La sua competenza, l’unica che forse possedeva, era diventata la sua gabbia, forse perché lui ne aveva fatto una piccola ossessione, leggendola come un modo per definirsi. Capita con le competenze, anzi, come si dice oggi, con le skill.
Credo ogni lettore conosca l’episodio, che traggo da Il Piccolo Principe. La vicenda del lampionaio, nel capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, non mi pare una di quelle cui si presta particolare attenzione, sebbene abbia molto da dirci.
Innanzitutto, colpisce la staticità del lampionaio, che di fronte a una situazione di radicale cambiamento non si è domandato se la sua unica competenza avrebbe trovato ancora un mercato, ma si è ostinato a reiterarla, assecondando l’accelerazione del pianeta.
Colpisce altresì la somiglianza della mutazione in atto nel quinto pianeta con i bruschi cambiamenti climatici cui è soggetto il nostro, o con la trasformazione tecnologica, che da almeno vent’anni impone ai processi ideativi e produttivi, ma soprattutto alla persona, accelerazioni insostenibili, determinando una nevrotizzazione collettiva, capace di minare la stabilità dei sistemi sociali e dei singoli individui. Una pressione crescente che richiede movimenti compensatori ad alto costo umano, basti pensare alle molte decine di milioni di confezioni di antidepressivi che tutti gli anni vengono consumate in ciascuno dei grandi Paesi europei oppure al numero di bambini sottoposti a trattamenti psicofarmacologici.
Le competenze finiscono per diventare parte di noi e pretendono di rimanere stabilmente impiantante nella nostra personalità
Di certo l’accelerazione dei processi non è estranea a questi esiti. Forse neppure le scienze della mente sono in grado di capirci qualcosa, così si difendono come possono, ad esempio rifugiandosi nel nominalismo, nell’illusione che, dando un nome alle cose, finiscano per conoscerle. Le varie edizioni del DSM, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, dimostrano che siamo diventati bravi a etichettare qualsiasi disturbo, ma questo non significa che capiamo a fondo ciò che si nasconde dietro a tali fenomeni. Verrebbe da aggiungere che la sofferenza psicologica oggi sembra toccare corde esistenziali, legate alle ragioni del nostro esserci, come se tutti avvertissimo una crisi di senso.
Il lampionaio avrebbe dovuto disimparare quello che era oramai diventato soltanto un tic, scollegato dai rivolgimenti della realtà. Si, perché disimparare non è una diminuzione ma una necessità, anzi un altro modo di imparare.
Dovremmo avere l’onestà di ammettere che quell’omino ci somiglia molto, perché le competenze finiscono per diventare parte di noi e pretendono di rimanere stabilmente impiantate nella nostra personalità, un lusso che non possiamo più concederci, proprio perché la Terra gira sempre più veloce, scivolandoci via dalle mani, come il quinto pianeta scappava da quelle del povero lampionaio.
La velocità rende impossibile il persistere di una corrispondenza biunivoca tra un’abilità e il suo campo di applicazione. Il secondo muta troppo in fretta e invalida la prima senza pietà, perché l’impero degli oggetti inanimati non conosce la pietà.
Ma niente paura, non perderemo questa bellissima battaglia, perché ci restano in mano delle armi potenti, dalla capacità di osservare a quella di porsi domande fino a giungere alla più sublime delle competenze, quella di stabilire nessi. Tutto il resto può cambiare, d’altro canto il mondo non è rimasto uguale neppure per un istante, persino i lampioni sono cambiati, mandando in pensione i lampionai. Un peccato, perché ora non possono più insegnarci la cosa che non abbiamo ancora considerato, ossia che ci vuole qualcuno per cui valga la pena di accendere un lampione. Si chiama “persona”, capace di apprendere delle skill e di conservare la certezza che lei sopravvivrà a queste ultime, effimere pinzette, utili ad afferrare e modificare piccole quote di realtà, che non saranno mai le stesse e invocheranno nuove skill. Dunque, vietato innamorarsi delle skill, caldamente consigliato di rammentare che quelle esistono per servire il suo creatore. La persona di prima, stabile come un monolite, almeno fino a quando manterrà vivo il suo primato sugli strumenti e sulle competenze.