L’Io che osserva il Cosmo…

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2 di 2 - La seconda parte dell’intervista al professor Marco Bersanelli, per un punto di vista scientifico sull’impresa collaborativa.

sintesi

Scienza e collaborazione, quali legami? La scorsa settimana abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista realizzata in occasione dell’uscita del quaderno #10 di Weconomy a Marco Bersanelli, professore ordinario di astronomia e astrofisica all’Università Statale di Milano. Di seguito, la conclusione delle sue riflessioni in ambito collaborativo. Il nostro ultimo quaderno parlava del ruolo degli errori nella generazione di nuove alternative per l’impresa collaborativa: che ruolo hanno nella ricerca scientifica gli errori? Nella ricerca in particolare volutamente ci mettiamo sulla soglia dell’ignoto, dove il coefficiente di errore è altissimo. Non sarebbe possibile parlare di ricerca se non ci fosse la possibilità, incombente, dell’errore. La cosa più devastante è aver paura di sbagliare. Si rimarrebbe immobilizzati. Nella ricerca scientifica, l’attrattiva della novità deve prevalere sul timore di sbagliare. Se c’è lealtà nel riconoscere, anche con un sacrificio, l’errore, allora ogni errore porta con sé un “frutto”. Molte scoperte scientifiche sono state fatte “per sbaglio”: la scoperta del fondo cosmico di microonde, la luce primordiale che ci mostra com’era l’universo 14 miliardi di anni fa quando è iniziata l’espansione del cosmo, è avvenuta così, “per sbaglio”. Circa 50 anni fa, Penzias e Wilson, due radioastronomi americani si accorgono che un loro strumento che misurava l’emissione radio della nostra galassia registrava un eccesso di energia elettromagnetica, per mesi hanno pensato ad un difetto, un errore. Alla fine, si sono dovuti “arrendere” all’evidenza che stavano registrando un segnale reale che proveniva da ogni parte del cielo più o meno con la stessa intensità, e solo dopo del tempo, e confrontandosi con altri, si sono resi conto della portata di quello che il loro strumento aveva registrato: nientemeno che il segnale residuo di un universo primordiale, ad alta energia, ad alta temperatura. E hanno vinto il Premio Nobel, riconoscimento ottenuto per la lealtà di non aver trascurato un segnale che “per sbaglio” era entrato nel loro strumento. Collaborativi si nasce o si diventa? Collaborativi soprattutto si diventa. Noi come esseri umani diventiamo ciò che siamo grazie agli incontri che facciamo e al modo in cui noi li accogliamo. L’educazione, la formazione, dalle scuole all’università è fondamentale: importantissimo come si considera gli altri, sentire la collaborazione come un bene. Non c’è un compromesso tra esprimere se stessi e il collaborare: più si lavora con gli altri più si diventa in grado di esprimere se stessi. Siamo persone al centro di un universo collaborativo… Sulla scena cosmica la vista che si ha è paradossale, e proprio per questo è molto bella, profonda: da una parte come esseri umani siamo quasi nulla, è difficile rendersi conto di quanto marginali siamo nell’universo. La sproporzione che ravvisiamo nei confronti dell’immensità dell’universo è inconcepibile. C’è un senso di marginalità, un senso di smarrimento nell’universo, cresciuto da Galileo in poi, via via che gli orizzonti si sono ampliati. Dall’altra parte, approfondendo sempre di più i nessi che la fisica ha messo in luce nella storia dell’universo, ci rendiamo conto che questa storia dell’universo si dimostra in rapporto stretto con la possibilità della nostra esistenza. Siamo “quasi nulla”, ma se l’universo fosse fatto leggermente diverso, noi non esisteremmo. L’universo diventa cosciente di sé in questo punto infinitesimo che è l’uomo. Un poeta studioso dell’astronomia come Leopardi, diceva “tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio”. Anche gli spazi più vasti, se pensiamo alla nostra esperienza, diventano cosa piccina rispetto ai desideri che un uomo ha. C’è questo paradosso: siamo umilmente piccoli, sproporzionati, e dall’altra parte c’è qualcosa nell’uomo che è più grande dell’universo.