People We: tre esempi di impresa collaborativa
Google, Etsy e Slow Food. Tre esempi in cui la persona è al centro.
sintesi
GOOGLE Che fossimo arrivati alla quarta puntata di una serie di quaderni per l’impresa collaborativa senza citare l’impresa collaborativa per eccellenza era una lacuna. Quale occasione migliore di uno “speciale HR” per rimediare? Da anni sul podio di tutti i ranking di “best workplace” mondiali, la (R)Evolution di cui è protagonista Google va al di là dell’interior design – più simile a un parco divertimenti che a un ufficio – del noto Googleplex. È un WE multidimensionale, che ne anima i rapporti con l’ecosistema a tutti i livelli: dalla piattaforma aperta di Android agli storici esperimenti di job swapping con P&G, dai co-investimenti sulle startup del “Project 10 to the 100” a servizi di open knowledge come Zeitgeist o Art Project, è impossibile negare che Google metta da sempre il fattore Human, semplicemente, al centro. Del resto, con una mission come “rendere l’informazione universalmente utile e accessibile”, sarebbe (forse) stato impossibile il contrario. ETSY “Siamo antropologi del commercio. Abbiamo curiosità per le persone e per quello che costruiscono, scambiano e consumano. Tenendo gli occhi aperti sulle cose che contano davvero nelle nostre vite, crediamo di poter comprendere meglio ciò che ci muove come esseri umani”. Parole profonde, quelle che il sito di ecommerce artigianale Etsy usa nel proprio company profile. Parole che hanno fatto breccia nei cuori di milioni di utenti. 3 milioni di pezzi venduti al mese – dove per “pezzi” non si intendono prodotti usciti da un’anonima catena di montaggio ma creazioni fatte a mano in camerette e garage di mezzo mondo – sono un dato che sostanzia il concetto di “comunità di destino”: progetti di vita personali che si sposano con un progetto d’impresa collettivo, in un equilibrio acrobatico tra fisico e digitale, tra locale e globale, tra pubblico e privato. Praticamente: un business Umano, mai troppo Umano. SLOW FOOD Sebbene possa suonare come una provocazione, il fatto di includere un’associazione non-profit tra le best practice di un quaderno d’impresa è sintomo – come ben racconta il suo Vice Presidente Silvio Barbero qui accanto – che i paradigmi si stanno davvero trasformando. Il movimento di Slow Food porta avanti la sua piccola, grande e umanissima rivoluzione culturale per un cibo “buono, pulito e giusto” da quasi trent’anni; lungo questo percorso, che l’ha trasformato da un puntino sulla mappa della provincia di Cuneo a un network sul planisfero globale, ha però prodotto l’effetto collaterale di far fiorire intorno a sé tanto nuovo valore e tanto nuovo business. Dai Presìdi ai Mercati della Terra, si è dimostrato che un altro modello “dal basso” è possibile. E che “includere”, in una parola, paga.