Sono un venditore  e ora ho un altro obiettivo…

Companies Sono un venditore e ora ho un altro obiettivo…

Proviamo a ricordare quando è stata l’ultima volta che un “venditore” si è presentato qualificandosi in questo modo. O quando abbiamo ricevuto un biglietto da visita con su scritto “venditore”. Un dato di fatto: il mestiere del venditore è quello più popolato in una nazione, se andiamo a fare il censimento delle attività che implicano attività di vendita. Negozianti, agenti di commercio, commessi, ma anche informatori medico-scientifici, promotori finanziari, assicuratori… chi più ne ha più ne metta. Una ventina di anni fa, quando in Logotel stavamo già facendo dei corsi particolari, diversi, stimolanti per i venditori e, nel giro di qualche mese, avevo trovato quattordici job title diversi utilizzati da chi fa vendita. Quasi fosse un tentativo di accreditarsi meglio e mascherare il proprio mestiere, ritenuto da tanti socialmente di secondo piano. Smontare questo stereotipo è uno degli obiettivi che ho portato avanti con più passione e determinazione nella mia carriera.

Siamo tutti venditori, non dobbiamo nasconderlo

Nel mondo del lavoro e durante ogni nostra attività, abbiamo continuamente occasione di promuovere e supportare una nostra idea, stimolare qualche nostro collega su un progetto, motivare e convincere qualcuno a dare un suo contributo e sostenere qualche iniziativa o attività. Vendere è anche questo, non riguarda solo il momento dell’acquisto.

Tanti anni fa le aziende venivano gestite con direttive (cosa fare). Da un po’ di tempo i manager sanno che è opportuno coinvolgere i propri colleghi e collaboratori, fornendo motivazioni (perché farlo). Quindi, per me, se durante il mio lavoro il mio interlocutore mi dà dei motivi perché io faccia qualcosa, lui sta facendo il venditore con me, perché il suo obiettivo è quello di convincermi, o no?

Cambiano forme e modalità ma la vendita deve rimanere umana, anche quando è orchestrata da potenti algoritmi

Cosa c’è sotto le attività di un venditore?

Io, come Cliente, posso avere degli obiettivi, ad esempio di prodotto o servizio e di spesa, e nei miei gesti – normalmente istintivi – posso “tradirmi” e qualificarli. Spesso il venditore ha fretta e non fa delle domande per scoprire queste mie aspettative. In questo caso, per me, sta solo distribuendo qualcosa. Invece può cercare di mettersi nei miei panni, coinvolgendomi con domande le cui risposte non siano troppo impegnative. È così che comincia la vendita. Se quel venditore l’ho già conosciuto, e magari apprezzato, la vendita si svolge con prospettive significative, magari per entrambi. Se poi è stato capace di mettere in piedi una relazione interpersonale positiva anche breve, inizia un percorso che va avanti in un certo modo e cresce. Ecco, secondo me, questa relazione interpersonale è un capitolo molto importante, di cui non dovremmo dimenticarci, anche se – per la caducità della vendita – non si può sempre realizzare. Come organizzazioni, dovremmo ricordarcene a maggior ragione quando le modalità di acquisto avvengono senza la presenza di un venditore-persona. Penso che, anche quando il processo si smaterializza, diventa digitale e orchestrato con potenti algoritmi, debba sempre esserci un’idea umana di vendita che, assumendo nuove forme e nuove modalità di interazione, sia capace di guadagnarsi l’attenzione e la considerazione positiva da parte dei probabili acquirenti.

Un ruolo che incarna tutte le trasformazioni

Chi mi conosce sa che mi considero fortunato per essere stato uno dei venditori di successo della IBM negli anni Settanta. Sì, tanto tempo fa. Cinquant’anni fa quest’azienda stava informatizzando il mondo. Era l’alba della terza rivoluzione industriale, i computer promettevano di sostituire gli esseri umani nelle attività ripetitive, moltiplicando la produttività (come oggi). IBM era il quasi-monopolista dell’information technology e qualcuno potrebbe pensare che le sue soluzioni si vendessero da sole. Non era affatto così. Perché la sfida (come oggi) non riguardava solo hardware e software. Le aziende dovevano essere accompagnate in processi di trasformazione che oggi diremmo disruptive, con implicazioni profonde per le persone. E in questa prateria inesplorata, il venditore era fondamentale. Interloquivi con delle persone di un’azienda Cliente e, spesso, raccontavi qualcosa che non avevano mai visto e con cui non avevano alcuna familiarità. Eri capace di creare e sviluppare relazioni con i Clienti se ogni proposta veniva inquadrata in una prospettiva win-win. Ovviamente era una vendita particolare, che poteva richiedere tempi medi e lunghi. Ma quando si concludeva una proposta (e non tutte ovviamente), la gratificazione che avevi era significativa ed era un bel boccone per la tua autostima, motivandoti ad andare avanti su quella strada. Che peraltro non era frequentata da tutti i tuoi colleghi ma, che alla lunga, era più ricca di soddisfazioni.

Oggi siamo nel pieno di un’altra rivoluzione industriale, la quarta. Le tecnologie sono cambiate, gli strumenti sono diventati più sofisticati e potenti. Ma ci sono tante analogie di fondo con il mio passato, che riguardano il ruolo del venditore: era e rimarrà centrale per le sue capacità di scoprire i bisogni delle persone e di accompagnarle attraverso la complessità.

È opportuno preparare e motivare i propri venditori a una nuova sfida: quella della sostenibilità

Gli studiosi e i futurologi dicono che il mestiere del venditore sarà quello meno impattato numericamente dall’intelligenza artificiale. Lo credo bene: improvvisare, adattarsi al contesto, reagire a stimoli imprevisti sono abilità difficili da automatizzare. Eppure i venditori non possono rimanere uguali a sé stessi. Credo che le aziende avranno ancora più bisogno di qualificarli, di offrirgli nuovi spazi. Gli strumenti non bastano, non possiamo illuderci: i CRM, i tool di sales force automation completano il venditore solo quando sono parte di un cambiamento più grande, che non è solo tecnologico.

Verso una nuova sfida

Da non pochi anni siamo entrati in un mercato, in un contesto, che è – e sarà sempre più – orientato alla sostenibilità. Non è una scelta, è una necessità. Da osservatore, interessato, sto vedendo crescere le comunicazioni, fatte da diversi tipi di organizzazioni, enti e (finalmente!) aziende, per far conoscere il proprio commitment a operare sempre più nel rispetto della natura e per generare impatto sociale.

A supporto di questa evoluzione, anche se un po’ tardiva, ci sono studi e analisi che indicano la propensione individuale del Cliente a fare scelte sostenibili nell’acquisto di prodotti e/o servizi e a preferire aziende che dimostrano di muoversi concretamente in questa direzione. Anche pagando di più. Possiamo immaginare e suggerire che, in questo scenario, il venditore, in quanto interlocutore del Cliente, è opportuno che sappia – in modo trasparente ed efficace – qualificare sé stesso e i prodotti/servizi della sua azienda come realizzati con specificità nuove, anche non semplici e più costose, ma socialmente significative.

Oggi più di 3/4 delle persone dicono di sentirsi responsabili verso le generazioni future, e sono molte altre le motivazioni che li portano a fare scelte più consapevoli. Penso che, per le aziende oggi impegnate in questa direzione, e per le molte altre che vorranno sopravvivere, sia opportuno investire anche nel preparare e motivare i propri venditori (ma anche tutti i collaboratori) a questa nuova sfida, facendoli diventare ambasciatori sul territorio di questa grande esigenza, che è anche una responsabilità. Perché vanno messi in discussione le nostre abitudini e i nostri comportamenti istintivi, molti dei quali non sono più sostenibili. È un cambiamento profondo, che coinvolge la “società dei consumi” nella quale viviamo. Per me si tratta di una sfida che, per dimensioni, non ha pari nella storia dell’umanità.

Io sono un venditore, e ora ho anche un altro obiettivo. Ciao trash. Ciao.