Management Un team ad alto impatto in 5 mosse
Saper creare un team efficiente è una necessità ancora più importante prima delle ferie estive.
L’estate è arrivata, le ferie si avvicinano e creare i presupposti per andare in vacanza sereni, certi di aver sistemato in modo soddisfacente ogni aspetto del proprio lavoro, è ancora più importante a questo punto dell’anno. Altrimenti, il rischio cui si va incontro è di passare il tempo dedicato al riposo a controllare mail sotto l’ombrellone, pratica sconsigliata, soprattutto considerati i possibili danni ai quali si va incontro quando non si stacca mai la spina per davvero, sia per se stessi che per la squadra con la quale si collabora.
Saper creare un team efficiente e produttivo, su cui poter far affidamento quando non si è presenti in ufficio, è una necessità che non si presenta tuttavia soltanto quando le vacanze sono alle porte, ma che trova la sua ragion d’essere nella pratica lavorativa quotidiana.
È necessario preparare la propria squadra e coordinarsi con essa quando si è presenti, orientando i Senior Manager e realizzando dinamiche collaborative che mirino a far lavorare correttamente le persone coinvolte. Organizzare il lavoro prima della partenza è fondamentale, perché qualche mail dalla spiaggia non cambierà nulla.
Che cosa significa dunque creare un team solido e “ad alto impatto”? Quali sono le caratteristiche che si nascondono dietro una squadra che collabora in modo funzionale e funzionante?
Regole, consigli e studi sull’argomento riempiono pagine di libri: partendo dall’assunto che “non si collabora per collaborare”, come ci ricorda Cristina Favini nel suo post sull’overload collaborativo, scorriamo in questa panoramica alcuni suggerimenti per condurre i team sulla strada della creatività e produttività.
Leigh Thompson, professoressa di Management e Organizations alla Kellogg School of Management della Northwestern University ed esperta di gruppi di lavoro, in questo articolo sfata 5 miti legati al tema della collaborazione nei team e fornisce una guida in altrettanti punti per affrontare sessioni di lavoro in gruppo al meglio.
1. Collaborazione, ma con selezione: le riunioni non sono cocktail party, è bene invitare persone di cui si ha realmente bisogno, non allargare troppo la cerchia partecipativa e scegliere persone con skill differenti per rendere il gruppo eterogeneo. Favorire l’originalità, prevenendo la cosiddetta “artrite cognitiva”.
2. Sì alle regole. Niente di più sbagliato della frase “La nostra regola è non avere regole”: questo può generare una paralisi del gruppo nel momento in cui ciascuno si aspetta che sia qualcun altro ad agire.
3. Più imbarazzo e meno orgoglio: studi dimostrano che condividere all’interno del team momenti di precedenti lavori imbarazzanti piuttosto che di successo porta a nuove idee.
La vulnerabilità può creare coesione?
4. Si può ridurre alla metà il tempo dei meeting se si riesce a organizzarli bene: per il progresso del lavoro, meglio quattro incontri da un’ora che due appuntamenti di due ore ciascuno.
5. Educazione sì, ma non troppa… Sì alle discussioni! Va bene essere in disaccordo: team dalle “buone maniere” in cui non vi è un confronto costruttivo, ma passivo, non portano novità e creatività.
Lo sguardo generale di Leigh Thompson tocca punti diversi del cosmo delle dinamiche relazionali e produttive dei gruppi di lavoro e fornisce alcuni consigli per comporre un “high-performance team”.
Ma cosa significa nello specifico “team ad alto impatto”?
Questo white paper di Insights spiega che l’accezione più comune del termine è di una squadra di lavoro altamente specializzata e con un’elevata produttività, ma ciò che è interessante è che la definizione stessa di “high-impact team” contiene l’implicita consapevolezza che non tutti i gruppi sono “ad alto impatto”.
Cosa contraddistingue questo tipo di squadre dal resto dei team? Una volta messe in atto le pratiche per costituirne uno, come riconosco se il mio gruppo è davvero efficiente?
Naturalmente non vi sono regole che attestino la buona riuscita della costituzione di un team ad alto impatto, tuttavia il professore di Harvard J. Richard Hackman nel suo libro Leading Teams: Setting the Stage for Great Performances sostiene che questi team “raggiungono un livello di sinergia e agilità che non avrebbe mai potuto essere programmato dall’organizzazione o rinforzato dall’esterno”. Come a dire che il risultato finale dato da questi team è maggiore della somma delle singole parti.
Il Noi è più del totale degli Io che collaborano, è un altro punto di realtà, un nuovo soggetto, come ci dice la filosofa Margaret Gilbert nel suo libro Il noi collettivo, di cui abbiamo già parlato in questo articolo su questo blog.
E questo noi, molte volte, quando si innescano le dinamiche di collaborazione corrette, riesce a produrre risultati maggiori rispetto a quanto le singole parti avrebbero potuto ottenere: ecco allora scoperto quando si può parlare di “team ad alto impatto”.
Chiudiamo questo articolo con un esempio calzante che ci fornisce Steve Jobs:
“Il mio modello di riferimento per il business sono i Beatles. Erano quattro tipi che tenevano sotto controllo a vicenda le loro tendenze distruttive, per così dire. Si compensavano gli uni con gli altri e il totale era maggiore della somma delle parti. È così che vedo il business: in questo campo le grandi imprese non vengono mai realizzate da una persona sola, vengono compiute da un gruppo di persone.”