Management Talent Management: tra genio e intelligenza
Su Weconomy abbiamo spesso parlato di talento collettivo; la pillola formativa di oggi ci porta alle radici del concetto di “talento” e delle modalità più efficaci per governarlo all’interno delle organizzazioni aziendali.
Il talento, nella storia del pensiero umano, non viaggia mai da solo ma si confronta e riflette costantemente con il genio.
Il primo si rappresenta come valore e patrimonio dell’intelligenza e delle sue possibilità cognitivo/adattive, mentre il secondo connette tutto questo ai territori dell’immaginazione e della fantasia.
Detto ciò, gli aspetti superiori – quelli specificamente creativi – appartengono a entrambi sebbene a titolo diverso.
Mentre il talento è supportato dall’intelligenza nelle sue qualità più adattive e nelle sue abilità più professionali e tecnicamente apprezzabili, il genio si muove su spazi più legati all’immaginazione.
Talento e genio rappresentano quindi una coppia che divide aree di competenza diverse, e l’immaginazione ne rappresenta necessariamente la cerniera e l’elemento distintivo.
Dunque il talento non sa di esistere come tale e per queste ragioni produce, migliora e diversifica se stesso, continuamente.
Il genio, invece, si percepisce come tale, soddisfacendosi di se stesso. Ed è proprio in questo compiacersi che sta la sua grandezza e, inevitabilmente, il suo limite e la sua ridotta dinamicità.
In tali condizioni parlare di Talent Management significa cercare un ruolo per le abilità dell’intelligenza, per le sue risorse, per tutte le qualità delle quali può disporre e nelle quali crescere.
Chi sono i Talenti?
Sono persone che, in una prospettiva relativamente breve, possono garantire la copertura di posizioni strategiche all’interno di una organizzazione.
Persone, perciò, dotate di caratteristiche distintive, di forte personalità, con capacità già consolidate e/o potenzialità da sviluppare.
Ma ci sono dei rischi…
Spesso capita che la persona riconosciuta come “talento” rischi di dimenticare che esso vale, come quello di tutti, in funzione dei risultati che genera.
Frequentemente la persona pensa “sono un talento”, confondendolo con uno “status”, non investendo abbastanza sull’apprendimento e attendendosi, anzi, che il proprio valore sia riconosciuto a priori da tutti.
Possiamo quindi affermare come sia il verbo “essere” il vero nemico del talento, il quale – abbiamo detto in principio – deve scoprire il proprio territorio e non considerarsene, fin dall’inizio, il legittimo signore.
Solo allora la sua esplorazione potrà essere preziosa e vincente. Per sé, anzitutto, e per tutti coloro che avranno la ventura di condividerla.