Le community nel circolo virtuoso della vendita

People Le community nel circolo virtuoso della vendita

Le community non sono solo piattaforme, ma sistemi in grado di alimentare un sistema che diffonde energia in tutte le organizzazioni, dal centro (gli headquarter) alla periferia (la forza vendita)

La vendita di qualità presuppone necessariamente una forza vendita preparata, aggiornata e dotata dei giusti strumenti (digitali).

La possibilità del venditore “artista” di fare la differenza in ogni momento della relazione (circolare) con il Cliente passa da qui, da questo potenziamento di competenze e conoscenze che un’esperienza digitale evoluta permette. Ma c’è di più: una volta innescato e dotato dei giusti strumenti per alimentarsi, il circolo virtuoso della vendita produce valore non solo per gli attori protagonisti – venditore e Cliente –, ma anche per chi lo sostanzia e sostiene, ovvero l’impresa. Per capire meglio di cosa stiamo parlando, facciamo un doppio click su alcuni servizi abilitanti per i venditori forniti dalle business community (di questo mi occupo quotidianamente) per poi chiudere con una riflessione sui by product che questi progetti portano all’impresa. Una business community, nel senso in cui la intende Logotel, è un agglomerato di servizi e strumenti digitali a supporto della vendita e della relazione con il Cliente. Non parliamo qui solo di un ambiente virtuale responsive che fa da broadcast di contenuti (creati ad hoc o mutuati da altri canali) e che permette alle grandi reti di vendita, dirette o indirette, di consultare l’offerta commerciale aggiornata e di scaricare con un “tocco” la relativa modulistica. Parliamo, scegliendo tra alcune funzionalità e tool “a catalogo”, di:

Moduli e collection formativi sempre disponibili e accessibili tramite un’interfaccia Netflix-like, progettati per allenare e aggiornare le skill e la preparazione commerciale: approfondimenti sull’offerta, video-pillole per sviluppare le capacità relazionali, podcast co-prodotti con gli user della community da fruire in mobilità, infografiche da stampare e portare con sé.

Un pacchetto di tool evoluti che danno alle persone la possibilità di agire e prendere decisioni autonome ma in linea con gli obiettivi dell’azienda: gestire campagne di marketing territoriale, oppure l’avanzamento di un incentive o, ancora, la fase di induction di una nuova risorsa.

Contenuti di scenario, come – per esempio – una rassegna stampa 2.0, che orienta chi la consulta sia tramite una selezione di notizie must to read e nice to read, sia tramite un basket di approfondimenti sui temi caldi del momento (circular economy, insurtech, 5G...) di formato differente per andare incontro ai diversi tempi di fruizione.

Tanti servizi disponibili, uniti da un fil rouge: un sistema di engagement ben progettato con la capacità di mantenere alta l’attenzione e la motivazione di chi quotidianamente li fruisce in modalità desktop o, sempre di più, mobile. Una business community quindi: ha la capacità di rendere l’utile divertente (e viceversa) e di saper trovare le giuste leve di ingaggio, che spingono a informarsi e formarsi, a cercare nuovi stimoli e traguardi sfidanti (ma raggiungibili e quindi non frustranti). Il tutto gestito su più livelli di comunicazione. Il primo, quello top-down, permette all’azienda di comunicare velocemente e capillarmente con tutta la sua rete di vendita sul territorio, di passare informazioni chiare, univoche e ben confezionate – grazie a una redazione dedicata – a chi le utilizza ogni giorno per interfacciarsi con il Cliente e per trasformare il contatto in conversione o, comunque, in condivisione (di valori, di vision, di approccio...). In questo modo l’azienda inietta quotidianamente e trasversalmente energia al suo sistema commerciale: community-venditore-Cliente. 

Una community rende l’utile divertente (e viceversa), sa trovare le giuste leve di ingaggio, che spingono a informarsi e formarsi, a cercare nuovi stimoli e traguardi

Il secondo livello è peer-to-peer che permette, sempre grazie al supporto della redazione, lo scambio orizzontale di informazioni tra i partecipanti: best practice, suggerimenti, info commerciali, casi di successo. In una fase matura, senza ansie social e chiarita a tutti l’utilità, la community inizia ad autoalimentarsi e a dotarsi di nuovi contenuti “emergenti”. Infine una comunicazione bottom-up, dalla periferia al centro: non solo used generated content, ma anche (e forse soprattutto) coinvolgimento della rete di vendita nelle scelte (strategiche) delle aziende, raccolta in tempo zero di feedback e opinioni “altre” su nuovi prodotti e servizi appena commercializzati. E non sono rari i casi in cui queste dinamiche si strutturano in una pratica di ascolto continuativo della rete sull’offerta commerciale (e sulla sua comunicazione) che porta ad aggiustamenti “in corsa”, migliorie, riposizionamenti nel go to market (ed ecco un altro circolo virtuoso!). Tutto ciò fermo restando il fatto che la vendita, così come le business community, è fatta di persone, persone messe al centro del progetto che – quando hanno l’opportunità di condividere i loro bi-sogni, le loro aspirazioni e le loro necessità – vanno oltre al loro task e si scoprono “innovattori”. E siamo agli effetti collaterali: in mano alle aziende, le community diventano uno strumento di consolidamento e gestione della rete di vendita, e in modo indiretto di brand awareness e brand reputation, ma anche di raccolta di info preziose per chi, come le funzioni Marketing, si occupa di progettare e portare sul mercato nuovi prodotti, nuovi servizi, nuove soluzioni.