Companies Perché nessuna azienda può fare a meno di cambiare
Nuovi contesti generano nuovi bisogni e di conseguenza nuovi modelli che riguardano direttamente le aziende che non possono non gestire il cambiamento. In quest’articolo vediamo insieme alcune forme “alternative” di management e analizziamo l’importanza dell’azienda di gestire la fluidità, sia all’interno che all’esterno.
All’importanza del cambiamento e alla “Rivoluzione dell’Impresa” che passa da a Human Resources a Human (R)evolution abbiamo dedicato il nostro Quaderno Weconomy 4 e ne abbiamo parlato anche nel Quaderno 7 e nel Quaderno 8 (nel primo affrontandolo dal punto di vista del management, nel secondo parlando dell’importanza di gestire i flussi e un mondo del lavoro sempre più connesso).
Quello che ne viene fuori e che continua ad emergere sempre di più è come cambiare non sia una scelta ma una condizione necessaria per crescere. Questo vale per gli esseri umani, e vale anche per le imprese che li impiegano e li coinvolgono. Un recente articolo dal titolo Creative Destruction Whips through Corporate America sottolinea come nessuno possa sottrarsi a questa necessità di cambiamento.
Non esistono aziende troppo grandi, o troppo floride perché possano permettersi di non cambiare. Nell’articolo si mette in evidenza come il 75% delle aziende presenti oggi nel club delle cosiddette “Fortune 500”, che, per semplicità diremmo che include le più grandi e solide aziende statunitensi, non lo sarà nel 2027. Come, del resto, è già successo al 68% delle aziende che vi erano incluse nel 1978 e che oggi a volte sono solo ricordi.
“Too big to fail” è un assunto rassicurante ma non vero dunque.
Cambiare sì, ma come? Abbiamo più volte sottolineato parlando di leadership come il paradigma organizzativo che ha retto per decenni le aziende fosse fondato su due ben chiari pilastri: controllo e gerarchia. Con il risultato di avere, altro dato più volte citato, allo stato attuale il 13% di engagement nella forza lavoro globale (stando a una ricerca Gallup che abbiamo citato anche altre volte). Solo 1 persona su 10 è realmente coinvolta nel proprio lavoro.
Imprese che riescono ad affrancarsi da rigidi modelli gerarchici e da selve di job title e mansionari, esistono e non sorprendentemente prosperano.
Fa il punto della situazione della sperimentazione organizzativa un post sul blog di CultureAmp che ci mostra che soluzioni organizzative innovative, coinvolgenti ed eccellenti insieme a risultati economici non sono un ossimoro.
Vediamone alcune.
Medium è un web based editor statunitense, e come molte altre realtà anche più strutturate come ad esempio Zappos, ha deciso di organizzarsi seguendo un approccio organizzativo chiamato Holacracy.
Secondo questo approccio, il principale problema delle organizzazioni divisionali sarebbe legato al prevalere dei meccanismi di potere a scapito della concentrazione sul reale contenuto del lavoro (e penso sia difficile non concordare). Per questo motivo, holacracy mette al centro i ruoli e annulla il potere gerarchico delle posizioni. Per capirci: in Medium non ci sono manager. In Medium i Team sono organizzati secondo “gerarchie di cerchie” (traduzione che non rende molto merito a “hierchies of circles”).
Esistono diverse cerchie, cerchie con diversi gradi di relazione reciproca. Un po’ complesso da riassumere in poche righe, ma il risultato è che ogni persona è coinvolta in diversi progetti in base alle proprie competenze e responsabile dell’obiettivo della propria cerchia, la cui appartenenza ha deciso autonomamente. Il che dà un senso di coinvolgimento molto superiore rispetto al classico “non è scritto nella mia job title” a cui siamo abituati alle nostre latitudini quando chiediamo impegno supplementare.
Per approfondimenti, visto che il tema è affascinante e complesso, vi rimando alla “costituzione”, l’insieme dei principi fondanti di Holacracy. Ovviamente in costante aggiornamento perché, per fortuna o purtroppo ma tant’è, niente è per sempre.
Un altro approccio interessante è quello di Basecamp, una software house che ha creato uno dei tool di project management e collaboration leader del mercato mondiale.
Basecamp, nonostante i miliardi di dollari di fatturato, è un’azienda piatta dove non esistono manager. O meglio tutti diventano manager a rotazione, o sarebbe meglio dire team leader, su base settimanale. Ognuno quindi sarà a turno gestito e gestore del team. Secondo uno dei suoi cofondatori, Jason Fried, in questo modo si ha più rispetto del ruolo del leader e del lavoro stesso, avendo avuto modo di sperimentarne di persona ogni aspetto e responsabilità. E i risultati economici ogni anno migliorano.
Vi rimando alla lettura dell’articolo su CultureAmp per conoscere l’approccio alla trasparenza totale di Buffer o il “Flow” che caratterizza l’approccio di Treehouse, che una sintesi rischierebbe di banalizzare.
Quello accomuna tutti questi così diversi approcci è il successo economico che si associa alla volontà continua di sperimentare e misurarsi con nuove sfide organizzative, dimostrando scarsa affezione alle job title, agli organigrammi e alla gerarchia, quanto piuttosto ai contenuti del lavoro stesso e all’utilizzare il pieno potenziale delle proprie Persone.
Come abbiamo avuto modo di dire anche nell’evento che Logotel ha organizzato nel giugno scorso, People Now, è il “nuovo contesto che disegna nuovi bisogni e quello cui si assiste è una continua rottura di confini che fa emergere nuovi modelli ed ecosistemi.
Un cambiamento inevitabile visto che i vecchi processi di intermediazione sono saltati.
Saranno dunque aziende pronte a cambiare, ad accogliere il cambiamento o meglio la trasformazione e a gestire la fluidità che c’è dentro e fuori un’organizzazione.
Tornando al nostro incipit, saranno aziende come queste che popoleranno al Fortune 500 nel 2027, ma probabilmente non sarà necessario aspettare tanto.