Innovation Feedback: tre casi concreti
Asda, Domino's Pizza e Starbucks: tre casi di Feedback all'interno delle imprese.
sintesi
ASDA
La catena britannica di supermarket Asda, sussidiaria del colosso Walmart e seconda nel Regno Unito solo a Tesco, ha un payoff che definire “terra-terra” sarebbe quasi eufemistico: “saving you money every day”. Bam, dritto al punto. Se questa è la leva principale, verrebbe da pensare che siamo decisamente fuori dai radar della cosiddetta “innovazione collaborativa”. Niente di più sbagliato. Dal 2010 Asda ha infatti coinvolto i propri Clienti in un’operazione tanto ambiziosa da averne poi fatto un vero e proprio brand per la sua private label: “Chosen By You”, una selezione di prodotti scelti dalle persone (40.000 partecipanti!) dopo un percorso di blind testing durato 9 mesi. Il progetto ha portato al re-design di oltre 1500 referenze sulle 3500 offerte; un caso di “customer feedback” eclatante, se non per qualità (quanto è reale sostanza e quanto marketing?) perlomeno, senza dubbio, per la scala imponente su cui è stato condotto.
DOMINO’S PIZZA
Era il 2009 quando Domino’s, la seconda catena di pizza delivery statunitense, conobbe a caro prezzo il lato spietato della Rete: dopo che due suoi dipendenti postarono su YouTube un video, subito cliccatissimo, che testimoniava le nefandezze a cui erano soggetti i prodotti in cucina, la social-frittata sembrò fatta. Grazie a una tempestiva quanto faticosa operazione di “media crisis management”, Domino’s ha assorbito il colpo e ha quindi fatto di questa carenza il perno di molti suoi successivi progetti, tutti all’insegna della trasparenza. Dallo streaming in tempo reale sui maxischermi di Times Square dei customer feedback sulle pizze consegnate alla “social pizza” customizzabile via Facebook lanciata in Australia, fino alla recente partnership con una delle startup più disruptive d’America, Local Motors (vedi Quaderno #2), per co-progettare i nuovi eco-mezzi per i fattorini, Domino’s sta dimostrando che condividere paga. Quanto? Un +233% in Borsa.
STARBUCKS
Nelle ore precedenti al recente passaggio dell’uragano Sandy, molti newyorkesi si sono resi conto per loro stessa ammissione del fatto che la situazione fosse seria da un semplice dato empirico: Starbucks, “the third place” tra casa e ufficio, chiudeva i suoi punti vendita. Tale è la penetrazione negli States (quasi antropologica, più che di mercato) della catena di caffetterie di Seattle. Eppure, nonostante (o grazie a?) la sua mole di 200.000 dipendenti, Starbucks è universalmente nota per il flusso continuo di dirompenti (e rischiose) innovazioni che da anni intraprende. L’ultima, proprio in questi giorni, è la messa a terra della partnership con il sistema di pagamento via smartphone Square Wallet, che promette di liberare il Cliente dal fatidico step del passaggio in cassa. Il caffè sarà il “cavallo di Troia” per l’adozione di massa di questo sistema? Possibile; quel che è certo è che, per il Cliente, sarà una conferma in più di come il retail sia sempre meno “transazione” e sempre più, realmente, una “esperienza”.