La forza dell'inquietudine

Society La forza dell'inquietudine

Molte sono le domande che sorgono riguardo al tema dei robot, dell'automazione e delle nuove tecnologie più in generale. Cristina Favini, Manager of Design di Logotel, ne riassume qui alcune.

  • L’inquietudine che sentiamo riguardo le nuove tecnologie può essere una straordinaria energia per ripensare a noi come persone e come comunità a qualsiasi livello.
  • Dobbiamo capire cosa le macchine possono fare o, ancora meglio, non fare; perché quello che non fanno esalta il nostro modo di essere persone.
  • Essere persone non è essere meno o più di una macchina, è essere altro.
  • Quella cura di sé sarà un’impresa necessariamente collaborativa, forse addirittura comunitaria, in quanto le persone non dovranno solo semplicemente mettersi insieme ma dovranno fecondarsi di idee e impollinarsi.

Le macchine ci entusiasmano e, allo stesso tempo, ci spaventano per le implicazioni imprevedibili che potrebbero avere, a diversi livelli, sulla vita personale, lavorativa e sociale. Ci interessano e ci inquietano per la sensazione di inadeguatezza che ci fanno provare in relazione a loro e per la percezione di non riuscire a dominare e a incanalare tanta potenza così facilmente disponibile. Eppure l’inquietudine che ci regala questo periodo può essere una straordinaria energia, a cui dare forma, per accompagnare il nostro modo di ri-pensarci, per ripensare a noi come persone, come comunità, a qualsiasi livello: dalla nostra famiglia all’azienda in cui e per cui lavoriamo, alla società che abitiamo.

Alla crescita della tecnologia non sempre corrisponde una crescita della consapevolezza.

Se mi aveste chiesto 5 anni fa cosa sapevo sulle macchine, mi sarei limitata a citarvi film di fantascienza o, al limite, qualche numero di “Ghost in the Shell”. Negli ultimi anni come Designer e progettista di servizi sono dovuta entrare nel merito di cosa sia la collaborazione uomo-macchina oltre il mondo delle interfacce. Prima di tutto allineiamoci sul linguaggio: per “macchine” intendiamo algoritmi, androidi, robot, computer cognitivi, nuove tecnologie e sistemi sempre più automatici, intelligenti e sofisticati. La squadra si allarga, presto avremo “nuovi compagni e colleghi” ed è il tempo di iniziare a comprendere quali impatti avranno sulla nostra esperienza, sia come progettisti, sia come utenti e come parti di sistemi aziendali in cui le macchine avranno sempre più un ruolo e forse a tendere una funzione HR dedicata. Alla crescita della tecnologia non sempre corrisponde, però, una crescita della consapevolezza. Credo che sia urgente comprendere ed elaborare un nostro pensiero critico e, sottolineo, progettuale. 

Dal post-moderno siamo arrivati al post-umano. Con il concetto di ‘Post-moderno’ si indicava la percezione di trovarsi in un’epoca radicalmente nuova, incommensurabile rispetto a tutte quelle che l’avevano preceduta. ‘Post-umano’ cosa può significare d’altro se non che la prossima epoca sarà quella da cui resteremo fuori? Le cose andranno avanti senza di noi? Quale ‘cosa’ può esserci senza di noi? E noi, dove saremo? Saremo estinti? Oppure saremo semplicemente ‘obsoleti’, come già prevedeva Günther Anders?  Le domande sono tante. Verità o Post verità? Quale posizione vogliamo avere, di disincantata aspettativa o di scettica allerta?

 

Ha ragione chi sostiene che le macchine ci limitano o  quelli che affermano che ci potenziano?

Di certo l’uomo ha da sempre cercato di migliorare se stesso, non solo la propria comprensione del mondo, la propria familiarità con esso. Il sapere è stato il primo potenziamento del sé, la prima autotrasformazione. Le navi furono protesi rimovibili, come gli occhiali e i cannocchiali, tante volte puntati in orizzontale e, ad un certo punto, alzati a vedere ciò che si credeva di aver già letto da qualche parte. Ed ecco che queste protesi offrivano cose e mondi che la semplice dotazione naturale non mostrava, fino allo sfondamento dei limiti naturali (calcolo, visione, gestione, precisione, forza, velocità, …). Non c’è bisogno di parlare di quell’auricolare che tutti conosciamo e che ormai da un pezzo si è dotato di uno schermo… anzi che si è trasformato in telecomando della realtà!

 

Ha ragione chi sostiene  che le macchine aumentano, o che sostituiscono la forza lavoro?

Quando furono sviluppati i primi treni nelle campagne inglesi, si parlava di distruzione del lavoro. In realtà ogni tecnologia cancella lavori desueti e li rimpiazza con lavori ad alta qualificazione. Qualcuno parla di “distruzione creativa”. Il problema è che non si può chiedere al contadino o all’operaio inscatolatore di Amazon sostituito dai robot di andare a programmarli. Se conti quanti sono i ragazzi che vivono facendo nuovi lavori nel mondo digitale sono di più di quelli che hanno perso o che potrebbero perdere il lavoro come taxisti. Il problema è che il tassista non riesce più a ricollocarsi, dopo aver perso il lavoro. Questo è un dilemma sociale.

 

Ha ragione chi sostiene  che le macchine amplificano le capacità o amplificano i nostri errori?

Le macchine hanno il potere di aumentare le nostre capacità, liberare il nostro tempo, renderci più veloci. Sistemi di AI possono supportare i medici nella lettura di immagini diagnostiche, leggendole molto più velocemente e alleggerendo il carico dei radiologi e allungandoci la vita per la gioia di noi pazienti. Le macchine non amplificano però solo le nostre caratteristiche positive, ma anche quelle negative e anche i nostri errori. A ottobre 2016 la valuta inglese è crollata a 1,1841 dollari, il minimo in 31 anni. Sembrerebbe che le cause possano essere ricercate anche in un "fat finger", cioè un ordine abnormale a causa di errore umano, amplificato dagli algoritmi, che velocissimi hanno male interpretato l’andamento del mercato a causa di quell’errore.  Immaginate le potenzialità e gli errori su tutte le scale. Questo ci mette davanti a un dilemma etico.

 

Noi come persone cresciamo nell’esperienza e, se la limitiamo o non la diversifichiamo, limitiamo il nostro modo di pensare.

Ha ragione chi sostiene che le macchine ci fanno conoscere cose nuove? O ci isolano e ci allontanano dalla realtà?

Gli algoritmi ci viziano. Creano selezioni musicali plasmate apposta per noi, ci suggeriscono canzoni, vestiti basati sui nostri gusti, su ciò che potrebbe piacerci. La bolla di filtraggio è il risultato del sistema di personalizzazione dei risultati di ricerche su siti che registrano la storia del nostro comportamento e ci ripropongono sempre le stesse informazioni o tipologia di contenuti. L'effetto è che ci isolano nella nostra bolla culturale o ideologica. Esempi importanti sono la ricerca personalizzata di Google e le notizie personalizzate di Facebook. Non solo, se noi mediamo i nostri sensi con ambienti tecnologici (immaginate progettare una customer experience dove sperimentiamo un giro in giostra con la tecnologia VR), come cambia la nostra esperienza della realtà? Noi come persone cresciamo nell’esperienza e, se la limitiamo o non la diversifichiamo, limitiamo il nostro modo di pensare. Questo è un dilemma antropologico.

 

Ha ragione chi sostiene che le macchine dipenderanno sempre dall’uomo che le progetterà o chi sostiene che si emanciperanno in una nuova specie altra dall’uomo?

È un dilemma etico oltre che filosofico.

 

Salveranno il mondo o lo distruggeranno?

Con la popolazione di api in drammatica diminuzione, molti ricercatori hanno iniziato a porsi il problema di come salvare il mondo (senza api l’ecosistema mondiale crollerebbe). Alcuni ricercatori giapponesi e alcuni ricercatori polacchi stanno sviluppando dei droni miniaturizzati per poter supportare le api nello svolgimento del loro compito principale impollinare fiori e permettere alle piante di riprodursi. Intanto, nel gennaio 2015, Stephen Hawking, Elon Musk, e decine di esperti di intelligenza artificiale hanno firmato una lettera aperta sull'intelligenza artificiale chiede di focalizzare la ricerca sugli impatti sociali della IA. La lettera afferma che la società può trarre grandi benefici potenziali di intelligenza artificiale, ma che bisogna mettere in campo una ricerca concreta sugli impatti per prevenire alcune potenziali "trappole”. E' un dilemma sociale e politico.

 

Cosa è Falso, cosa è Vero? Cosa è Giusto, cosa è sbagliato? 

E tutte quelle domande per le quali non abbiamo una risposta, un'unica verità. Non ci basta ascoltare le varie argomentazioni di giornalisti, futurologi, formatori, tecnostratupper, … che troverete in questo 12° quaderno di Weconomy che abbiamo voluto dedicare al tema. È, però, un inizio. Abbiamo bisogno di tornare a farci delle domande scomode a capire in profondità gli impatti e la posizione da prendere in merito, dobbiamo capire cosa le macchine possono fare o, meglio, non fare. Perché quello che non fanno esalta il nostro modo di essere persone.

 

Invece di cimentarsi in una perdente corsa contro le macchine, investiamo in  una collaborazione con loro nella quale il “fattore umano” viene allenato, sviluppato e valorizzato.

Quindi, cosa NON può fare una macchina?

Intuire, Pensare, Spiegare se stessa, Sintetizzare, Emozionarsi, Creare connessioni originali e, forse la più importante di tutte, creare vita. Ancora per per un po’, almeno… Invece di cimentarsi in una perdente corsa contro le macchine, investiamo in  una collaborazione con loro nella quale il “fattore umano” viene allenato, sviluppato e valorizzato. Le persone dovranno puntare sulle caratteristiche che li rendono insostituibili. Un esempio è la creatività, intesa come la capacità di generare connessioni inaspettate, originali, di produrre idee, sguardi e soluzioni nuove. Per farlo, ovviamente, servirà sempre più investire su nuovi modelli di formazione e apprendimento che insegnino non le soluzioni ma a risolvere problemi. Allenare nuovi mindset, sensibilità e responsabilità sia per le nuove generazioni che faranno mestieri che oggi non possiamo prevedere, sia per chi deve re-inventarsi il proprio mestiere, sia per chi deve aiutare “popolazioni” di persone a tutte le scale aziendali e sociali  a re-immaginarsi in un futuro presente.

Parliamo di valorizzare “skills umane” perché il pensiero umano ha una capacità di ampiezza e di profondità inarrivate. Cioè è capace di sintetizzare in unità elementi eterogenei, scopre analogie, formula ipotesi su base intuitiva etc. È infatti bene tenere a mente che è molto di più che uno strumento di calcolo o di decision making, perché integra in sé spettri di esperienza inarrivabili alle macchine, come il desiderio, le emozioni, le tradizioni… Questa sintesi per una macchina è impossibile. Ci sono evidentemente contenuti e competenze specifiche che dovranno trovare più spazio anche nei programmi scolastici ed universitari. Maggiore urgenza, forse avrà invece, l’educazione ad una nuova forma mentis, ad una nuova cura di sé.

In termini più sintetici però credo che sarà decisivo un atteggiamento di fondo, preliminare rispetto alle nostre abilità: non concepirsi a partire dagli automi, dalle macchine, anche sofisticatissime, che affolleranno sempre di più i nostri contesti di vita. Questo significa cercare di sviluppare una ricchezza originaria di punti di riferimento; non solo tanti, non solo vari, ma anche multilivello. Essere persone non è essere meno o più di una macchina, è essere altro. Quella cura di sé sarà un’impresa necessariamente collaborativa, forse addirittura comunitaria. Nel senso che le persone non dovranno solo semplicemente mettersi insieme, anche qui sul modello di una semplice “somma di” (competenze, capacità, talenti etc.), ma dovranno fecondarsi di idee e impollinarsi. Non bisogna dimenticare che solo l’uomo è in grado di compiere una distinzione tanto ovvia che spesso ci dimentichiamo di quanto sia evidente e, soprattutto, fondamentale: la distinzione tra realtà e finzione, tra realtà e desiderio, tra realtà e possibilità.

 Usiamo quindi l’inquietudine che sentiamo per smuoverci e muovere le persone intorno a noi a prenderne consapevolezza, a farsi un’idea e a mettere in campo percorsi, azionie e progetti efficaci e trasformativi. L’inquietudine che sentiamo oggi come persone, mamme, papà, colleghi, capi o imprenditori  è una straordinaria energia che ci contraddistingue come specie, è quella attitudine a essere “prototipi”, a modificarci e a riprogrammarci che ci ha permesso di evolverci e di sopravvivere. Trasformiamo l’inquietudine in motivazione, in progetto che ci aiuti a formulare un nostro personale sguardo sulla realtà. L’unico punto stabile.

Nella collection Robot: l'automazione è collaborativa? troverete sguardi diversi di bioingegneri, scienziati, fisici, filosofi, filologi, antropologi, sociologi, futurologi, imprenditori, manager, giornalisti, designer, artisti. Ringraziando gli oltre 25 Autori per averci dedicato il loro punto di vista vi consiglio  di ascoltare le 9 interviste degli esperti internazionali che ci hanno dedicato il loro pensiero.