Design Design FAQs
Dialogo immaginario sulla disciplina del dar forma.
sintesi
Design per l’impresa?! Ma il design non c’entrava solo con i mobili?
Sì, anche. Ma non solo. Quel design (di prodotto) è molto importante: non è un caso che, tuttora, le maggiori iniziative di design in Italia si aggreghino proprio intorno al Salone Internazionale del Mobile di Milano (ogni aprile). Ma il design di prodotto è solo una delle tante branche di una grande disciplina della quale – come fa notare Wikipedia – “non esiste una definizione universalmente riconosciuta”.
“Non esiste una definizione”. Ci proviamo lo stesso?
Proviamoci. Nella tradizione anglosassone, il design – al pari, per esempio, dell’architettura o della fotografia – è considerato una “applied art”, un’arte applicata, per distinguerlo dalle “fine arts”, le arti pure, come la pittura, la danza o la musica. Ferma restando, cioè, una comune qualità estetica (“art”), il design ha anche una componente necessaria di utilità che manca invece alle arti pure, le quali possono essere “belle” (punto) senza per forza essere “utili”. Per citare il progettista Bruno Munari: “il sogno dell’artista è arrivare al Museo, il sogno del designer è arrivare ai mercati rionali”.
Ho capito: il design, bello e utile, è arte applicata. Ma applicata a cosa?
Qui sta il punto: è applicata a prodotti (tavoli e sedie, appunto, o automobili, smartphone etc.), e in tal caso rientra sotto ciò che si chiama(va) “design industriale”. Ma è applicabile anche a oggetti immateriali, come un sito internet (web design), o a processi come la formazione (instructional design) o l’interazione uomo-macchina (interaction design). Più che un ambito specifico, insomma, il design è un approccio a tanti ambiti possibili.
Bene: in cosa consiste questo approccio?
La parola da tenere a mente è una sola: progetto. Fare design significa, letteralmente, progettare. E pro-gettare (gettare avanti, anticipare) significa avere tre cose: creatività (come mezzo, non come fine), un metodo per scatenarla e orientarla al tempo stesso, e la visione di “dove” il progetto può e deve arrivare. Avere un “disegno”, insomma.
Ho capito: è per questo che “design”, in italiano, suona come “disegnare”?
Sì e no. No perché, chiaramente, sarebbe banalizzare il concetto (un disegno in sé e per sé, se non è progettato con un senso preciso, non è “design”). Eppure questa coincidenza semantica ci ricorda che l’approccio del design ha molto a che fare con il “rendere visibile” qualcosa che non lo è, o con il “dare forma” a qualcosa che non la ha. Un’idea, per esempio. O un servizio.
Ecco, “servizio”: ho sentito parlare di “service design”. Ma cos’è?
Per citare Stefan Moritz, autore di “Service Design – Practical Access to an Evolving Field”, “il service design è un nuovo approccio olistico, multidisciplinare e integrativo che aiuta a innovare o migliorare i servizi per renderli più utili, funzionali e desiderabili per i clienti, e più efficienti ed effettivi per le organizzazioni”. Ovvero, progettare esperienze dotate di senso per chi le fruisce, siano esse persone d’impresa (service design “b2b”), clienti finali dell’impresa stessa (service design “b2c”) o una combinazione di ambo i passaggi (service design “b2b2c”).
Grazie. Un’ultima domanda: com’è fatto un designer?
La risposta è nella prossima pagina.