Connessione creativa. Co-design: nuovi equilibri tra individui e collettività

Design Connessione creativa. Co-design: nuovi equilibri tra individui e collettività

Un approccio alla dimensione collaborativa del design.

sintesi

Esiste una grande enfasi sull’idea del fare assieme progettuale. Sempre più spesso si sente parlare di codesign, o partecipatory design o di processi di progettazione P2P (peer to peer).

L’idea che accomuna questi approcci è semplice: il mercato in quanto tale spesso non (ci) parla. Nel senso che non ci indica chiaramente quale direzione, senso, sviluppo assumerà.

Per comprendere questi shift le imprese più strutturate hanno appreso e strumentato da tempo una capacità di cogliere e amplificare segnali deboli: segnali che possono appartenere all’universo dell’immaginario e dei segni (idee, narrazioni, identità estetiche), alla presenza di opportunità tecnologiche o produttive (e ci riferiamo sia ai prodotti sia ai servizi), all’emergere di nuove sfide (ambientali, sociali…).

L’approccio alla dimensione collaborativa del design implica che questo viaggio-scoperta, che ha come scopo l’emersione di qualcosa che deve ancora manifestarsi compiutamente, avvenga attraverso la relazione.

E più precisamente attraverso la relazione con le persone. È attraverso la relazione con le persone che i processi di interazione dialogica e sperimentale incontrano l’altro da sé aziendale.

È questa la differenza (di punto di vista, esperienza, storia, competenza..) che attiva la contaminazione del processo standard. E non solo nella visione normalizzata di Von Hippel che con i suoi lead user sperimenta già l’inclusione della sofisticata capacità di consumo nel processo di generazione (e modifica) dei prodotti/ servizi.

Attribuire agli user, ai partecipanti al processo progettuale e a tutti i processi di materializzazione del prodotto/ servizio, un ruolo influente all’interno di tutto il processo progettuale significa liberare un potenziale creativo, penetrante, allargato, destabilizzante. Ma potrebbe anche generare un’invisibile, schiacciante, vincolante visione conformista basata sul groupthink. Per questo motivo il making together deve spingersi su un terreno ancora più ardito: si deve cibare della dinamica opposta, cercando di istaurare relazioni con maverick solitari, impallinati ossessivi, menti troppo avanti, what if critici e ferocemente motivati. Per generare un equilibrio tra individuo-collettività nella relazione tra progetto e creatività che prenda il meglio da entrambi.

La libertà (connettiva) del progetto e dei progettanti genera la ridondanza necessaria in ogni atto progettuale realmente innovativo.

Pronti, via. Per promuovere non (solo) un processo di distruzione creativa (Schumpeter docet) ma un processo di connessione creativa.