Companies Quello che i clienti non chiedono. (Ri)scopriamo le esigenze delle persone
Quali sono le sfide da affrontare nella progettazione di oggetti formativi che costruiscano una learning experience significativa per le persone?
- Capire le esigenze delle persone significa offrire qualcosa: cornici di senso che guidino nelle scelte
- Mai dare per scontati i bisogni delle persone, ci permettono di capire cosa serve davvero.
- Progettare per moduli formativi non significa scomporre l'apprendimento in pezzi. Le domande che ci poniamo devono sempre guardare al senso complessivo
Dalla formazione top-down alla formazione bottom-up, dall’“imposizione” di piani di formazione annuali con obiettivi codificati e meccanicamente misurati, alla responsabilizzazione dei partecipanti, invitati a scegliere in autonomia – o quasi – i temi da approfondire.
Sempre più aziende si stanno muovendo in questa direzione e chiedono supporto per progettare contenuti, percorsi e ambienti virtuali che aiutino le persone ad autoformarsi e a “gestire il cambiamento”.
Che si parli nello specifico di accompagnare la digital transformation o si tratti di progettare un’academy per le proprie persone, la sfida di chi si occupa di formazione è supportare i learner in un contesto in continuo cambiamento. Perché le skill – hard o soft –, ritenute necessarie sul lavoro, invecchiano sempre più velocemente e così i mix formativi vanno riprogettati periodicamente per accompagnare le persone nel riqualificarsi, abbandonando competenze e acquisendone altre (reskilling) o accrescendo quelle acquisite (upskilling).
Una sfida che vede, quindi, da un lato la scelta di un approccio didattico e, soprattutto, di un modello di ingaggio che aiuti le persone a modificare le proprie abitudini; dall’altro la selezione dei contenuti: come fare a sapere quali sono le modalità e i temi utili per ciascun ruolo? E poi, come renderli interessanti per le persone?
Molto spesso chi, in azienda, ha questo mandato, ha le idee molto chiare e si approccia ai fornitori di contenuti e piattaforme con richieste precise e budget da allocare, spesso anche ben distinti e distribuiti tra formazione tradizionale e formazione online. Ma con quale logica, in quali proporzioni, si può affidare a una modalità piuttosto che all’altra specifici obiettivi didattici?
Tutte domande che non possono essere discusse a tavolino, ma che devono trovare le risposte nella riflessione sulle reali esigenze dei destinatari della formazione. Partire dai bisogni dell’azienda e delle persone è l’unico modo per progettare modelli e selezionare contenuti che siano efficaci e interessanti per chi li dovrà fruire. Ecco perché è necessario prima di tutto esplorare modalità di indagine per aiutare aziende e persone a capire cosa serve davvero per svolgere un compito o interpretare un ruolo e, parallelamente, a valorizzare le skill già presenti.
Il rischio è creare cataloghi di learning object molto vasti e poco focalizzati, che propongono un po’ di tutto con un medio livello di approfondimento e favoriscono la dispersione degli accessi. Oppure – altro rischio dei progetti di digital learning – è quello di creare contenitori di format sotto il cappello di academy che influenzano, quasi determinandoli, i contenuti al punto da smettere di chiedersi la finalità dei singoli interventi formativi in fase di progettazione.
Se la formazione mette a disposizione tutto, è fondamentale costruire cornici di senso per guidare le persone nella scelta
Dopo aver scelto i contenuti, il passo successivo è portare le persone a bordo del progetto formativo. In un contesto in cui è tutto a disposizione – e la formazione modello Netflix va proprio in quella direzione (ho a disposizione titoli e format tra cui scegliere per costruire il mio piano formativo) – diventa sempre più fondamentale costruire cornici di senso che guidino i partecipanti nella scelta. Perché devo fare questo corso? A cosa mi serve nel quotidiano? A quali bisogni che ho in questo momento risponde? Come mi accorgo di aver imparato?
Per trovare risposte puntuali a queste domande, è necessario però fare una distinzione tra hard skill, le competenze tecniche legate al mestiere, e soft skill, quelle competenze personali che aiutano ad affrontare le situazioni e a gestire i rapporti interpersonali (ad esempio: comunicazione, leadership, creatività, flessibilità, teamworking ecc.).
Le prime sono forse più semplici da “misurare” in termini di gap tra situazione reale e situazione attesa e di risultati ottenuti (pensiamo ad esempio ai test di inglese), ma allo stesso tempo richiedono una curva di apprendimento più lunga e chi apprende ha bisogno di essere supportato e motivato nel tempo. Le seconde sono più difficili da misurare e possono diventare corsi passe-par-tout, proposti per dimostrare di voler risolvere un problema di business, senza però credere realmente nella loro efficacia.
In entrambi i casi e in un contesto dove vige la libertà di scelta, senza il reale coinvolgimento dei destinatari dell’esperienza formativa nella sua progettazione, l’esperienza stessa non riuscirà a rispondere ai suoi bisogni e quindi non sarà percepita come utile e interessante.
Un esempio di learning experience che risponde a bisogni veri e sentiti? I corsi per il tempo libero. Molte persone hanno passioni che coltivano fuori dal lavoro, non per tutti sono un investimento per un lavoro futuro e non (sempre) sono semplici passatempi. Vanno incontro a bisogni di crescita personale, di imparare cose nuove, di misurarsi con nuove sfide, ma anche di fare pratica ed esercitarsi nel tempo, cosa che non sempre è possibile in azienda.
A volte queste esigenze possono, infatti, maturare durante le ore lavorative e non trovare occasioni per essere approfondite: un corso di teatro o di canto può essere un modo per allenare il public speaking o gestire l’ansia da palcoscenico.
Perché non riflettere anche su modalità per conoscere prima di tutto e valorizzare anche le esperienze acquisite fuori dal lavoro?
Aiutare le aziende a mettere a terra progetti formativi efficaci, duraturi nel tempo e interessanti per chi ne farà parte, vuol dire aiutarle a farsi domande e a cercare le risposte mettendo i bisogni dell’azienda e i bisogni delle persone al centro di un sistema di apprendimento (e non solo di singoli pezzi).
In che modo? Osservandole, ascoltandole, affiancandole e coinvolgendole nella progettazione.