UFO. Unidentified Future Organizations L’armonia vita-lavoro nella normalità che verrà
È il momento di concentrarci su cosa significhi creare un’employee experience per sviluppare e nutrire le relazioni, sulla base delle preferenze dei singoli.
Di certo, quando parliamo della nuova normalità nel mondo del lavoro, articoli e studi non mancano. Ma si concentrano troppo spesso sul “da dove…” e “in quali orari…” collaboreremo. Queste letture presuppongono che saremo sempre connessi, che avremo uno spazioso e neutrale ufficio casalingo e, per rispetto del multiculturalismo, che saremo in grado di pensare in automatico ai fusi orari corretti per fissare le riunioni virtuali.
Ma, in questi tempi difficili, c’è qualcos’altro che sta diventando sempre più chiaro nella mia mente. Penso che questa cosiddetta nuova normalità verrà presto rimpiazzata, semplicemente non sappiamo ancora da cosa. Ecco perché preferisco usare il termine next-normal. Non è un sofisma. È una scelta con un significato profondo perché, se accetteremo l’idea di “prossima normalità di lavoro”, non ci orienteremo verso una soluzione definitiva, ma dedicheremo la necessaria flessibilità cognitiva ad allenare il pensiero creativo.
Perché, in un mondo che cambia in continuazione, è più importante pensare al “come” vogliamo lavorare. E non penso al “come” in senso tecnologico (siamo perfettamente in grado di affrontare i problemi tecnici, quindi non sono preoccupato), ma in senso relazionale, riguardo a come ci confronteremo con gli altri. Come possiamo rafforzare il senso di appartenenza di cui abbiamo tanto bisogno, anche da remoto. E come poter ridefinire, progettare e supportare le relazioni e la prossimità, anche quando siamo fisicamente distanti.
In questi mesi sono apparsi moltissimi sondaggi sulle modalità di lavoro preferite dalle persone. Ne emerge spesso che più della metà dei collaboratori non voglia tornare indietro, ma pochissimi si sentono soddisfatti del proprio equilibrio vita-lavoro. Questa insoddisfazione non può essere spiegata solo con elementi esogeni (come la mancanza di spazio in casa, i problemi per la cura dei figli, la scarsa qualità della rete Internet). Alla base possono esserci fattori molto personali, che rendono difficile gestire una relazione sana con i propri colleghi, con l’organizzazione e con i valori del brand.
Per questo motivo trovo che l’idea di “trattare gli altri come vorresti essere trattato tu stesso” sia fuori tempo massimo. Per me avrebbe più senso trattare gli altri come vorrebbero essere trattati loro stessi. E credo che adottare questo mindset sia più urgente che mai, perché si riflette sulla soddisfazione, sulla salute e sulla produttività. Invece, basarsi sui pregiudizi e credere – per esempio – che tutti gli introversi apprezzino lavorare da casa, mentre a tutti gli estroversi manchi il trambusto in ufficio è semplicemente sbagliato. Dobbiamo mettere da parte la dicotomia work-life balance e spostarci verso una work-life harmony. Se intendiamo l’armonia come un’interfaccia comune tra lo spazio fisico, lo spazio digitale e lo spazio personale, possiamo rivoluzionare davvero il “come” lavoreremo.
La prossimità fisica e mentale è la base per la creatività, della cultura e della coesione
C’è da sperare che la crisi che abbiamo vissuto sia un’occasione per cambiare approccio, senza farci prendere dalla fretta di lanciare strumenti online e kit. È il momento di prendere sul serio la revisione dell’employee experience e affrontarla in maniera pragmatica. Si tratta di un’attività per certi versi simile alla mappatura delle customer journey, che ci aiuta a far emergere i pain point dei vari segmenti di clientela e quindi poi dar forma alle esperienze più adatte. Penso che queste competenze ed expertise possano essere applicate a una employee journey mapping, con l’obiettivo di portare alla luce i frustration point di ogni collaboratore. Così potremmo capire quali sono le preferenze dei singoli, i punti di forza, ma anche gli elementi di inefficienza, demotivazione e le falle nelle modalità di lavoro.
Spero che così saremo capaci di progettare e nutrire le relazioni, basandoci sui diversi punti di vista, e sviluppare così, in modo smart, il “next normal way of working”. Smart non significa solo renderlo confortevole e piacevole per diversi tipi di personalità (introversi ed estroversi). No. Per me farlo in modo smart significa progettare le relazioni, le condizioni, gli scambi, gli strumenti e i metodi di lavoro per far sì che una persona voglia davvero portare al lavoro tutto sé stesso.
Se affronteremo bene questo passaggio, potremo dedicarci alla prossima sfida: la next-proximity. Un aspetto tutto da co-progettare. Perché la prossimità fisica e mentale è la base per la creatività, e dalla creatività nasce la cultura che, a sua volta, dà vita alla coesione. Abbiamo bisogno di tutto questo, forse più che mai.