Companies L'Italia e il mix generazionale in azienda
2 di 2 – Le nuove generazioni hanno caratteristiche atipiche e aspettative differenti sul mondo del lavoro.
A sfogliare il ‘Rapporto annuale 2016 – La situazione italiana’ pubblicato dall’Istat pochi mesi fa (qui uno dei molti résumeé rilanciati sul web da giornali ed associazioni), si percepisce quanto ormai il tema delle generazioni non appartenga più alla futurologia, ma stia diventando una chiave di lettura della nostra attuale situazione. Questo blog ha già dedicato spazio al tema (vedi qui e qui), ma dal rapporto Istat è possibile selezionare almeno un paio di spunti particolari che possono essere utili per qualche considerazione sulle sfide lanciate dall’ingresso delle nuove generazioni in azienda e sulle ricadute di questo sul tema più specifico della collaborazione.
In primo luogo le nuove generazioni (Generazione X, Millennials, Generazione delle reti, secondo le non ufficiali denominazioni del Rapporto) prolungano i propri percorsi formativi. Ce ne eravamo sicuramente già accorti, magari sulla nostra stessa pelle, come pagatori di rette. Rilevante è però il fatto che, scrive il Rapporto, proprio chi studia di più va incontro a esperienze di lavoro atipiche più di quanto non accada a chi termina prima la propria formazione. È certamente un problema di ‘mercato del lavoro’. In realtà è chiaro da tempo che è l’idea stessa di lavoro ‘tipico’ ad essere andata in crisi (interessante questo résumeé dell’indagine Manpower). O forse l’aggettivo stesso, applicato a qualsiasi nome. È rimasto qualcosa di ‘tipico’? La stessa famiglia, dalla quale ci si stacca sempre più tardi, sta subendo trasformazioni, e non da oggi.
Il fatto interessante è però che questa atipicità non è solo un carattere del contesto in cui entrano i giovani (o giovanissimi) di oggi. È già nello sguardo.
Infatti quale può essere il contesto ‘ordinario’ di lavoro per chi ha già trafficato centinaia di informazioni con decine di interlocutori prima anche solo di sedersi ad un colloquio di lavoro? Per chi dialoga della propria carriera lavorativa (futura o in corso) fin da subito con un linguaggio altro? Che non si riconosce in mansioni ed ambienti fortemente strutturati e preprogrammati, che si concepisce sempre provvisorio e si ostina a mantenere il proprio lessico e le proprie letture persino nella descrizione delle strategie e degli obiettivi aziendali?
Come ha messo bene in evidenza il Convegno promosso, nel gennaio scorso, dalla rivista Aggiornamenti Sociali e Valore D, questo costituisce uno dei fronti più interessanti del Diversity Management, appunto quello che si occupa anche della Age Diversity sul posto di lavoro. La gratificazione personale e non solo le classiche ‘garanzie’ aziendali’. Possibilità di crescita personale che non corrispondono, anche qui, alla classica ‘carriera’. Un lavoro che implica un cambiamento delle cose e non semplicemente la spunta di obiettivi in tabella. Dall’altra parte un’azienda che è capace di trasformarsi di conseguenza: flessibile, collaborativa, inclusiva. Capace di approcciare il mix generazionale non in termini di semplice compromesso – cioè in termini conservativi –, ma in termini di ri-generazione di sé. Ma è possibile?