Management Le nuove regole dell'imprenditoria innovativa
Acqui-hiring, entremploying ma non solo. Ecco le nuove regole imprenditoriali da seguire.
sintesi
Viviamo un momento storico particolare: non si tratta “solo” di contrazione economica e riduzione della portata dei mercati, ma di un radicale cambiamento di regole e paradigmi. Comprendere questo cambiamento è già una sfida in sé e per sé, e il tema della relazione con le persone all’interno delle organizzazioni non fa certo eccezione. Penso per esempio a fenomeni come l’acqui-hiring (acquisition + hiring), con cui aziende lungimiranti vanno a caccia non tanto di startup quanto delle competenze dei loro fondatori, o a figure come l’entremployee (entrepreneur + employee), ibrido tra imprenditore e dipendente (o meglio in-dipendente) al quale affidare maggiori risorse e responsabilità. Il risultato sono nuove idee e nuovi punti di vista per l’impresa da un lato, e più valore al costo aziendale della persona stessa dall’altro. Anche in Italia sono sempre più numerose le medie imprese che ospitano startup in uffici liberi all’interno delle proprie sedi, quasi una sorta di “adozione” che crea business e soprattutto, a livello di persone, porta in dote all’azienda consolidata una ventata di nuova mentalità, attitudine, visione del mondo. La questione è proprio questa: le nuove regole dell’imprenditoria innovativa (internazionalizzazione, cooperazione competitiva, cultura del fallimento, capacità di guardare oltre il ritorno immediato etc.) sono iscritte nel patrimonio genetico innato delle startup di ultima generazione, ma sono assimilabili solo con fatica dalle imprese “tradizionali”. Strumenti come i due citati sono risorse preziose per accelerare questo processo di comprensione dei nuovi paradigmi. Ma non bastano: orari flessibili, superamento dei modelli gestionali a compartimenti stagni, attività di networking, formazione continua, tutti questi sono elementi che, in futuro, saranno sempre più fondamentali a livello personale proprio per il loro essere trasversali rispetto alle competenze specialistiche. Posto che il concetto di specializzazione stesso si farà più labile: e se a scuola, come si insegna l’inglese, insegnassimo ai bambini a programmare software?