Companies L'impresa cognitiva
Dalla società dell’informazione, a quella della conoscenza a cognitiva. Quali sono gli effetti di questi passaggi, e in che modo può l'essere umano allenarsi per vivere in quest'epoca?
- Dalla società dell’informazione siamo passati a quella della conoscenza e ora entriamo nella nuova società cognitiva.
- Il mondo è cambiato e noi siamo sempre uguali. La digitalizzazione ha ampliato le nostre capacità cognitive che, però, sono rimaste nella loro natura le stesse.
- Cambiano però la logica, l’etica e l’estetica che ci permettono di conoscere e interagire con il mondo in tutti i campi in cui le interazioni avvengono.
- Bisogna quindi crescere nelle competenze che trascendono e liquefano le discipline del nostro sapere e abbracciano la vita, in tutte le forme in cui si manifesta.
- L’essere umano può rinnovarsi e diventare migliore nell’era cognitiva solo crescendo insieme e contemporaneamente sia nella capacità di comprendere sia nel desiderio di instaurare relazioni positive sia nella volontà di ricercare modi nuovi e più efficaci di intervenire sul mondo.
Cristallizzare le trasformazioni in definizioni che descrivono l’era nella quale viviamo sembrerebbe un’operazione anacronistica e perfino dannosa. In realtà accogliere la definizione di “era cognitiva”, quando parliamo di intelligenza artificiale, robotica o machine learning, permette di innescare una serie di riflessioni utili per comprendere come l’uomo vive in questa nuova era. Per dirla alla Bauman, l’era cognitiva è uno dei modi in cui si manifesta la “compulsione a liquefare, fondere, estrarre” della post-modernità in cui viviamo. Una tendenza che si manifesta in tutti gli ambiti in cui l’uomo dispiega la sua azione sul mondo: nell’impresa, nell’educazione, nell’arte, nella ricerca scientifica, nella relazione con gli altri e l’ambiente, nella nostra libertà di persone e consumatori. Ma se questa liquefazione impatta anche sulle strutture conoscitive dell’uomo, allora le conseguenze diventano dirompenti e la trasformazione ancora più profonda. Stiamo facendo un salto notevole: dalla società dell’informazione siamo passati a quella della conoscenza e ora entriamo in questa nuova società cognitiva.
Dalla società dell’informazione siamo passati a quella della conoscenza e ora entriamo in questa nuova società cognitiva.
La domanda è: siamo attrezzati come esseri umani per viverla? Secondo Michael Porter no. Nel suo intervento al WOBI di Milano (novembre 2017) Porter spiega e illustra casi che mostrano come la tecnologia è andata oltre la nostra capacità di comprenderla. Il mondo è cambiato e noi siamo sempre uguali. La digitalizzazione ha ampliato le nostre capacità cognitive che, però, sono rimaste nella loro natura le stesse. Se pensiamo a come impariamo credo siamo tutti d’accordo nel dire che da una parte c’è un essere che conosce (l’uomo), che si muove per “procacciare con operazione di mente cognizione nuova su qualcosa” (etimologia di “imparare”). Dall’altra c’è un insieme di enti che attendono di essere trasformati in nuove cognizioni. Ora invece ci sono anche enti (machine learning) capaci di procacciare nuove nozioni, sono programmati per farlo. Alle nostre strutture conoscitive sembra mancare qualcosa per comprendere anche questa nuova relazione.
Il rischio per l’uomo è la sopraffazione, la chiusura, le distorsioni e l’esclusione cui può andare incontro come professionista, studente, consumatore o semplice cittadino. Abbiamo di fronte un nuova urgenza che impatta anche sul modo con cui, come società, dalla scuola all’impresa, educhiamo, formiamo e supportiamo le persone. Il mondo artificiale e quello naturale si stanno incontrando nella nano-dimensione che apre alla connessione fisico-digitale tra esseri umani e robot e lascia immaginare nuovi scenari (come il recente trapianto di mano bionica al Gemelli di Roma, che abilita la paziente anche al tatto non solo alla manipolazione).
Ma già oggi ci sono uomini e donne che risparmiano chattando con Plum, servizio che permette di gestire le proprie finanze personali sul messanger di Facebook, che rispondono ad un job posting con “video interviste cognitive” attraverso la piattaforma Talview o, ancora, dottori e pazienti che interagiscono con il sistema IBM Watson nella diagnosi e prognosi di malattie, oppure consumatori che dialogano con applicazioni Autodesk per risolvere i loro problemi di acquisto e utilizzo dei prodotti. Nell’interazione con questi sistemi cambia radicalmente il modo in cui formuliamo il nostro giudizio sul vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il degno di fiducia o meno, il bello e il brutto.
Così cambiano la logica, l’etica e l’estetica che ci permettono di conoscere e interagire con il mondo in tutti i campi in cui questa interazione può avvenire. Ma liquefare le nostre strutture cognitive non permette (almeno per il momento!) di solidificare, sintetizzare o impiantare una nuova forma di conoscenza. Porter ha ragione: siamo sempre uguali e non ci saranno nuovi esseri umani al momento. Ma dalla liquefazione di logica, etica ed estetica può emergere un nuovo modo utile a noi esseri umani che viviamo (e vivremo) nell’era cognitiva.
La post-modernità ci porta a misurarci con una nuova realtà (quella cognitiva appunto) in cui il giudizio su ciò che è vero, giusto e bello si esercita con un atto unico, istantaneo e necessario. Se pensiamo a noi come consumatori, lo sviluppo è nell’interfaccia per interagire con i twin digitali dei prodotti che acquistiamo. Immaginiamo, ad esempio, di giocare a tennis con una racchetta capace di registrare punti di impatto, effetti e rotazioni impresse alla pallina e direzioni dei nostri colpi. Attraverso un’interfaccia user-friendly capace di aggregare i dati raccolti e diagnosticare il nostro stile di gioco, interagiamo con un sistema che suggerisce come rendere più efficaci i colpi, quali allenamenti fare, come modificare i propri movimenti e adottare nuovi stili di gioco. Questo “twin digitale” della racchetta che impugniamo ci permette di tracciare una direzione di miglioramento rispetto alla quale valutarci. L’era cognitiva promette di potenziare le nostre azioni (nello sport, nello studio, nella nostra professione il principio è lo stesso) ma abbiamo bisogno di appartenere a questa epoca, scegliere di giocare con le sue regole, decidere di generare i dati che servono per farla funzionare e condividerli, renderli pubblici, esser disposti a cambiare (se necessario) il modo in cui riconosciamo la verità, accordiamo fiducia, ci facciamo emozionare dal bello.
Abbiamo bisogno, tutti, fin dalla scuola ma anche nella formazione da adulti, di crescere nelle competenze che trascendono e liquefano le discipline del nostro sapere e abbracciano la vita, in tutte le forme in cui si manifesta. Sono le life skills, come le definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Costituiscono una nuova literacy secondo il World Economic Forum. Non sono competenze “nuove” ma un modo diverso di utilizzarle perché impariamo ad esercitarle simultaneamente e passare facilmente dall’una all’altra: pensiero critico, curiosità e iniziativa; collaborazione, comunicazione e auto-efficienza; sperimentazione, creatività e problem solving.
L’essere umano può rinnovarsi e diventare migliore nell’era cognitiva solo crescendo insieme e contemporaneamente sia nella capacità di comprendere sia nel desiderio di instaurare relazioni positive sia nella volontà di ricercare modi nuovi e più efficaci di intervenire sul mondo.