We Shape: modelli per l'Impresa partecipativa

Articoli We Shape: modelli per l'Impresa partecipativa

I modelli organizzativi in atto nei centri di ricerca più innovativi del mondo possono essere esportati anche nelle nostre Imprese? A questa domanda risponde in anteprima per Weconomy il Design Anthropologist Luca Simeone.

Cultura partecipativa, innovazione e nuovi modelli organizzativi: il caso del MIT

Order itself is not rigid or located in any one structure;

it is a dynamic organizing energy.

(Wheatley)

A cavallo tra l’inverno e la primavera 2011, ho trascorso un periodo di quattro mesi a Boston come research affiliate in un laboratorio del MIT, cercando di capire se esistono dei modelli organizzativi che favoriscono l’innovazione.

Questo progetto di ricerca tentava di dare una risposta ad alcune domande:

  • In che modo un centro di ricerca o un’azienda possono essere organizzati per creare le condizioni ottimali che producano innovazione?
  • Esistono delle forme organizzative, delle strategie gestionali, degli stili di leadership ottimali?
  • modelli in atto nei centri di ricerca più innovativi possono essere proficuamente esportati in contesti aziendali (ad esempio all’interno di PMI)?

Questa mia indagine è incominciata quindi con l’analisi del MIT e si protrarrà con lo studio di altri 3 diversi laboratori e centri di ricerca d’eccellenza, disseminati tra Stati Uniti, Europa e Asia.

Ho trascorso il mio periodo al MIT presso Senseable City Lab, un centro di ricerca all’interno del dipartimento di Architettura e Urbanistica, la cui sede principale è appunto a Cambridge in Massachusetts.

Senseable City Lab è un gruppo di ricerca con una forte componente transdisciplinare, che studia le smart cities presenti e future e in particolare il ruolo delle nuove tecnologie a livello di pianificazione e gestione urbanistica. Il laboratorio si basa su una estesa rete di collaborazioni, che include ricercatori interni ed esterni con diversi livelli di affiliazione, imprese, amministrazioni pubbliche. Fondato nel 2004, il laboratorio ha oggi all’attivo oltre 200 pubblicazioni scientifiche e più di 40 progetti che spaziano da interventi architettonici come il Digital Water Pavilion a Saragozza – un edificio con muri d’acqua attivati da sensori di prossimità, fino a cruscotti olografici tridimensionali per Audi o a biciclette ibride dotate di motori elettrici ricaricabili e di una rete di sensori che tracciano in tempo reale dati su ambiente, traffico, inquinamento.

In questi anni, Senseable City Lab ha ospitato 350 collaboratori, con background disciplinari profondamente diversi: architetti, urbanisti, ingegneri hanno lavorato accanto a esperti di videgiochi, studi medioevali, musica, sport, teologia, arti asiatiche, chimica e rappresentanti di altre 50 discipline.

Questa radicale transdisciplinarietà è proprio una delle caratteristiche principali del laboratorio, il cui modo di operare si basa su un approccio definito ‘Mode-2’ knowledge production practice (Gibbons, Limoges, et al. 1994). Il ‘Mode-2’ è un nuovo modo di produrre conoscenza scientifica, che non vede più una distinzione tra ricerca accademica (spesso troppo teorica) e problemi della vita reale. Nella filosofia del ‘Mode-2’, i centri di ricerca universitari lavorano – spesso insieme ad aziende e cittadini – su interventi concreti nel mondo reale; Senseable City Lab è proprio modulato su questo approccio, tanto che molte delle sue attività si concentrano su attualissime problematiche di sostenibilità ambientale: robot per raccogliere il petrolio in mare in caso di incidenti su oleodotti o petroliere oppure applicazioni iPhone in grado di tracciare l’impatto ambientale dei nostri spostamenti (a piedi, in bicicletta, sui mezzi pubblici, in auto).

Molti di questi progetti sono stati sviluppati in tempi molto rapidi e con team multidisciplinari localizzati in parti diverse del mondo, ottenendo prestigiosi riconoscimenti e una grande visibilità mediatica.

Qual è il segreto di questa produzione così prolifica e innovativa?

La mia ricerca ha evidenziato alcune caratteristiche organizzative del laboratorio che probabilmente giocano un ruolo importante:

  • Apertura confini molto flessibili. Le regole di engagement per le collaborazioni sono molto flessibili: alcuni collaboratori lavorano al laboratorio per lunghi periodi, altri per pochi mesi o settimane. Alcuni lavorano dalla sede centrale di Cambridge, altri da sedi periferiche allestite in altre aree geografiche, spesso temporaneamente e in occasione di specifici progetti. Altri collaboratori mantengono una relazione flessibile con il laboratorio, con delle collaborazioni part-time attivate o disattivate con velocità e in funzione delle esigenze.
  • In termini organizzativi Senseable City Lab non è strutturato secondo uno schema piramidale e con un sistema di reporting vertificale. Piccoli team, che agiscono con un alto grado di autonomia, sono la chiave di un nuovo tipo di ordine organizzativo più flessibile. Ogni team ha uno o più progetti in carico e le persone si spostano frequentemente da un team all’altro a seconda delle necessità contigenti.
  • I team sono molto vari e possono essere composti da poche persone in caso di piccoli progetti (esempio: The wireless citySpacebookGEOblog) o da diverse decine di persone in caso di progetti più complessi (esempio: the Digital Water PavilionTrashTrack).
  • Nonostante ci siano dei ruoli manageriali trasversali all’intero laboratorio (Carlo Ratti, Assaf Biderman, Kristian Kloeckl), i team sono generalmente delle unità con un alto grado di indipendenza. Autorità e leadership si basano sul sapere specifico richiesto dai task in corso più che dal tradizionale ordine gerarchico tipico di tante aziende e centri di ricerca. Orizzontalità e fluidità sono due elementi chiave delle dinamiche gestionali e di controllo del laboratorio: all’interno dei team, la distribuzione di responsabilità e task dipende dall’expertise a disposizione nel contesto e al momento specifici. I team sono generalmente organismi estremamente aperti in cui ci sono continue ridistribuzioni di attività e responsabilità.

  • La struttura organizza letteralmente emerge dall’interconnessione dei processigestionali e operativi continuamente rielaborati da questo network. L’ordine organizzativo non è imposto dall’alto, ma affiora dall’interazione dei team e le loro risposte a stimoli e cambiamenti interni e esterni.
  • La cultura organizzativa occupa un ruolo di primo piano nel creare un ambiente in cui ogni collaboratore ha la sensazione di contribuire in maniera significativa alla vita e alla produzione del laboratorio. Questo sistema orizzontale e decentrato sposta sul singolo individuo importanti responsabilità, ma crea anche un senso di ownership distribuita particolarmente motivante.
  • Meccanismi e rituali come frequenti sessioni di brainstorminglunch meetingsseminari residenziali contribuiscono alla diffusione di questa cultura organizzativa partecipativa.
  • Discovery-based learning: studenti, ricercatori, docenti e partner esterni lavorano insieme su progetti reali e quindi conducono ricerca seguendo la filosofia del ‘Mode-2’. Le lezioni tenute dal direttore Carlo Ratti al MIT (Digital City Design Workshop) sono in linea con questo approccio: nell’ aprile 2011 tutti gli studenti del suo corso sono andati a incontrare i sindaci di Copenhagen e Salonicco per ricevere un brief su dei progetti reali da presentare come tema d’esame (per poi essere successivamente concretamente realizzati).

 

Conclusioni

Quanto qui riportato è un breve report che ha evidenziato alcune delle caratteristiche organizzative di Senseable City Lab. Dinamiche gestionali e operative basate su flessibilità, apertura, orizzontalità e partecipazione sembrano giocare un ruolo cruciale per favorire una cultura organizzativa orientata verso l’innovazione.

La cultura organizzativa è ovviamente solo uno dei tanti fattori alla base dell’innovazione (un corretto approccio a livello strategico, di design e di pianificazione economica è altrettanto importante). La cultura organizzativa può fungere da contesto a dinamiche di innovazione, ma non può esserne il solo elemento scatenante.

Attualmente la mia indagine si sta focalizzando su un secondo laboratorio (MEDEA in Svezia) e poi proseguirà su altri due centri di ricerca in modo da effettuare un’indagine comparativa e vedere se esistono delle best practices trasversali.

In questo mio studio al momento non sono inseriti laboratori (o aziende) italiane. Sarebbe interessante però includerne alcuni. Chiedo quindi a voi, community di weconomy: avete suggerimenti per centri di ricerca italiani che a vostro avviso presentano un’organizzazione interna particolarmente orientata all’innovazione?

Note

Maggiori informazioni su questa prima fase del progetto – inclusi video, foto e la lista completa di credits – sono disponibili all’indirizzo: http://senseable.mit.edu/sos

Riferimenti bibliografici

Michael Gibbons, Camille Limoges, Helga Nowotny, Simon Schwartzman, Peter Scott, Martin Trow. 1994. The New Production of Knowledge: The Dynamics of Science and Research in Contemporary Societies. London: Sage Publications Ltd.