Una Visione completamente diversa Siamo tutti con-dividui
Anche la biologia ci dice che siamo tutti condividui, frutto della interazione tra il nostro DNA e l’ambiente in cui viviamo. Serve un esercizio collettivo per invertire la rotta e assicurare il nostro benessere e quello delle generazioni future.
La pandemia Covid-19 ha reso evidente la necessità di immaginare una nuova normalità perché, come dice Simone Weil, “l’attesa di ciò che verrà non è più speranza, ma angoscia”. Il virus, come una cartina di tornasole, ha smascherato la normalità che viviamo e rivelato chi siamo: ora è il momento per pensare chi potremmo essere. Questa riflessione deve partire da almeno due dati imprescindibili e non discrezionali: il primo è che la distruzione degli ecosistemi e della biodiversità del pianeta è un fatto chiaro ed è la causa delle epidemie/pandemie che hanno colpito negli ultimi quarant’anni a ritmo sempre più incalzante. Il secondo è che la Terra è unica e allo stremo: la domanda di risorse e servizi che oggi poniamo alla Terra è tale che dovremmo disporre di quasi due pianeti per soddisfarla.
Non è dunque più possibile tornare alla normalità precedente la pandemia ed è necessario sviluppare politiche di sostenibilità per giustizia sociale e giustizia ambientale, in quanto la sostenibilità di ogni nostra azione diviene una doverosa risposta a una giusta domanda di giustizia intergenerazionale. Sulla base di queste considerazioni ciascuno ha il dovere di sviluppare e proporre possibili soluzioni, ma per partecipare attivamente è necessario disporre di strumenti concettuali utili a sviluppare proprie idee al riguardo. Per essere oggi cittadini a pieno titolo e parteci- pare al governo delle cose è necessario possedere una “minima” base di conoscenze scientifiche. La cittadinanza scientifica si connota poi in ultima analisi come un esercizio di cittadinanza attiva: partecipare significa essere e sentirsi parte di una comunità aperta, sapere di contare nei processi attraverso cui si prendono le decisioni, poter controllare e mettere in discussione l’esercizio del potere. Partecipazione e autogoverno sono le due premesse fondamentali della democrazia moderna che è una democrazia “cognitiva”, la sola capace di promuovere l’equità tra i suoi partecipanti.
Dopo il secolo della chimica e quello della fisica, siamo ora nel millennio delle scienze della vita, della biologia. Tutto intorno a noi è bio: bio-politica, bio-economia, bio-etica, bio-ingegneria, bio-terrorismo… Se nel secolo della chimica i cittadini potevano condurre la propria vita senza conoscere la tavola periodica de- gli elementi, o in quello della fisica potevano allegramente trascurare il bosone di Higgs, in questo millennio hanno la necessità di conoscere i rudimenti dei grandi avanzamenti delle conoscenze della biologia e le loro applicazioni tecniche in ogni campo del sapere poiché queste riguardano direttamente la nostra “nuda vita”: come arriviamo sul pianeta Terra (procreazione), come lo lasciamo (fine vita), come ci curiamo (medicina rigenerativa e personalizzata), quello che mangiamo (produzione di proteine da fonti alternative alla carne), come produciamo energia (combustibili fossili versus energia green), come distruggiamo o conserviamo il pianeta Terra (economia della biodiversità).
Siamo il frutto della interazione tra il nostro DNA e l’ambiente in cui siamo gettati nell’essere chiamati sul pianeta
Tutto si basa sugli avanzamenti tecnologici delle scienze della vita e dunque quel minimo di conoscenza che è necessario assicurare a tutte le persone perché possano effettuare le proprie scelte è il fattore che definisce l’essere appieno cittadini e il grado di democrazia del nostro vivere sociale. Il grado di cittadinanza è definito dalla capacità di sviluppare in autonomia delle scelte che riguardano il proprio corpo e l’ambiente in cui viviamo, in una opzione di laicità dello stato sociale, abbandonando l’inconsistente visione del determinismo genetico che vuole il destino individuale essere deciso dal DNA che ci è assegnato dalla sorte, dalla roulette genetica della riproduzione sessuata dei nostri genitori.
Noi siamo il frutto della interazione tra il nostro DNA e l’ambiente in cui siamo gettati nell’essere chiamati sul pianeta, ambiente inteso nel senso più ampio, quello famigliare e culturale che ci accudisce e quello chimico-fisico determinato dal codice di avviamento postale ove viviamo. Siamo il prodotto di un processo affettivo e non di un esercizio zootecnico di riproduzione animale: è la odierna concezione biologi- ca dell’individuo inteso come “con-dividuo”. Per i biologi l’identità umana emerge come un’identità evolutiva, irriducibilmente multipla, sommatoria delle tante diversità meticciatesi e meticciantesi. Ciascuno di noi si presenta al mondo portando dentro di sé, incarnando, il passato biologico di innumerevoli generazioni, tutte giunte per migrazione all’incontro del sesso riproduttivo che rimescola tutti i tratti genetici.
La consapevolezza della gravità della “questione ecologica” suggerisce che il momento per intervenire non sia più rinviabile. Non c’è alternativa all’avere cura per un pianeta vivibile capace di assicurare il nostro ben-essere e quello delle generazioni future, nei confronti delle quali fino a oggi non ci siamo comportati da buoni antenati. È ormai chiaro che sono i contorni della “genomica sociale” quelli che possono assicurare il nostro benessere e quello delle generazioni a venire. Un numero sempre maggiore di evidenze documenta un sostanziale legame tra il con- testo sociale all’interno del quale ciascuno di noi vive e le funzioni del genoma delle cellule somatiche e germinali che compongono il nostro organismo. Fattori ambientali di varia natura possono infatti modificare l’espressione genica delle cellule alterando lo stato fisiologico di tessuti e organi. Le diseguaglianze sociali si traducono così in diseguaglianze di salute, le quali non solo vengono trasmesse in maniera intergenerazionale, ma determinano a loro volta diseguaglianze di opportunità, di reddito, di rango sociale in un meccanismo ricorsivo che rinforza lo svantaggio sociale che le ha originate. Combattere le ingiustizie sociali che condannano la gran parte dell’umanità è un dovere etico per i più fortunati. La società in cui viviamo ha il dovere di assicurare il meglio per il ben-essere di tutti i con-dividui. È dunque necessario tentare un esercizio collettivo per invertire la rotta e arrivare a un cambiamento radicale dei nostri stili di vita, per evitare che le nostre agende si trasformino in subende.