Una Visione completamente diversa DOT di POLI.design - Un ecosistema in evoluzione continua
PROSPETTIVA 1 - IL PROGETTISTA
Irene De Ponti
Quanto può estendersi un servizio, se si rivolge a una moltitudine di persone con bisogni, interessi e fasi di vita (personale e professionale) molto diversi tra loro? E quanto può essere efficace? Sono state queste le domande a cui abbiamo cercato di rispondere a un anno dal lancio della community DOT.
Un contesto e uno spazio abilitante per fare emergere bisogni e interessi
Dopo il go live – avvenuto a novembre 2021 – abbiamo avuto modo di esplorare le funzionalità, i contenuti e le interazioni che creassero un terreno fertile nella community. E abbiamo osservato quali dinamiche, invece, si rivelassero di minor interesse per i partecipanti. Tutto ciò è stato possibile perché abbiamo interpretato la community come uno spazio abilitante, che ha fatto emergere dal vivo le tipologie di persone che ne fruivano maggiormente, i loro bisogni e le loro specificità. Che si sono manifestati sia nella piattaforma online, sia negli spazi fisici del POLI.design, sia negli incontri di persona che abbiamo organizzato e da cui abbiamo raccolto suggerimenti e spunti di miglioramento. È stato un passaggio fondamentale, perché ha innescato un salto evolutivo: DOT è passata da un ambiente per tutti a una community per le persone che ne avevano più bisogno, gli studenti iscritti alla Scuola di POLI.design. Un gruppo omogeneo di persone con interessi, bisogni e percorsi affini.
La focalizzazione sugli studenti e la riprogettazione dei servizi
Questa transizione ha richiesto un flusso progettuale basato su tre macro-fasi: 1. Il momento di iscrizione e di trasferimento in Italia (la maggior parte degli studenti sono europei o extra-europei); 2. La scoperta di Milano e la vita da studente; 3. La ricerca del tirocinio curricolare alla fine dell’attività didattica e il placement.
Abbiamo quindi approfondito e dato maggiore rilevanza alle sezioni di DOT che generassero utilità in queste tre fasi: dall’accompagnamento burocratico prima del trasferimento in Italia, al facilitare la conoscenza tra studenti prima dell’inizio delle lezioni, alla scoperta delle zone di Milano, degli eventi e delle attività da svolgere nel tempo libero, fino al generare occasioni d’incontro dal vivo, per rendere DOT non solo uno spazio virtuale, ma una comunità di intenti, un gruppo di interesse che si estende oltre i servizi offerti.
I “ruoli chiave” per coinvolgere gli studenti in ogni master
Tra gli studenti abbiamo identificato dei pivot, e cioè dei ruoli-ponte tra community e studenti. Queste figure sono state individuate in ogni master e sono diventati i community manager di DOT: hanno acquisito competenze per promuovere iniziative, raccogliere bisogni e produrre contenuti fisici e digitali. Abbiamo formato e dato voce a chi era motivato a collaborare per far funzionare meglio il servizio, promuovere interazioni multiculturali e raccogliere idee per ulteriori aree di miglioramento.
Gli impatti si amplificano. E si estendono gli obiettivi e i servizi
Il riorientamento progettuale ha permesso a DOT di trasformarsi in un sistema fisico-digitale di connessione e relazione, in grado di autoalimentarsi. Ad esempio, oggi gli studenti/community manager creano spontaneamente occasioni per conoscersi tra i diversi master, perché nella quotidianità di POLI.design non hanno modo di farlo; sono nate dinamiche di supporto reciproco per i nuovi arrivati in città, per cercare un alloggio e scambiarsi suggerimenti su come trovarlo; gli studenti, inoltre, condividono con la redazione analisi e suggerimenti per potenziare i servizi offerti.
DOT oggi genera valore attraverso ogni interazione e ci consentirà di estendere la community verso nuove tipologie di utenti, facendo scalare gli impatti verso l’intero sistema della Scuola di POLI.design.
PROSPETTIVA 2 - IL CLIENTE
Intervista a Cabirio Cautela
Uno degli aspetti più interessanti di DOT risiede nella sua capacità adattiva, fin dalla fase progettuale. Come si è riadattata la community e quali riflessioni si possono ricavare dalla sua evoluzione, tuttora in corso?
Occorre partire con un dato di realtà: i master hanno una vita molto autonoma, sono dei prodotti-silos slacciati l’uno dall’altro e senza una comunità reale di riferimento. Inizialmente DOT era stata pensata come una comunità virtuale di interazioni tra pari, un “terzo luogo” in cui gli studenti potessero interagire con tutta la popolazione di POLI.design, guidati da un comitato editoriale, in particolare nel veicolare alcuni contenuti nella community e abilitare lo scambio con dei pari. L’intensità di scambio (exchange intensity), che è uno dei misuratori dell’efficacia di una comunità, era inizialmente bassa perché – secondo me – se non esiste una comunità fisica, non può esistere uno specchio virtuale. Quindi la mia prima riflessione è: si può progettare qualcosa, una piattaforma, un modello di interazione sul digitale, solo quando pre-esista una natura “socio-fisica”.
È per questo motivo che abbiamo ripensato DOT con una evoluzione in tre passaggi: siamo passati da un’ottica community-led a una user-led, per poi riattivare una dinamica community-led a partire da nuovi presupposti. Quando ci siamo resi conto che l’intensità di scambio era abbastanza bassa e che non innescava una vera e propria comunità virtuale, abbiamo ragionato sui bisogni dell’utente, chiedendoci quali fossero le esigenze di uno studente, soprattutto straniero, che deve familiarizzare con un nuovo ambiente e una nuova cultura.
Abbiamo quindi ridisegnato DOT per trasformarlo in uno strumento a supporto delle tre fasi critiche del ciclo di vita di uno studente di un master: l’acclimatazione rispetto alle condizioni normative e di ingresso all’interno del nostro Paese, una maggiore integrazione non solo rispetto al contesto del POLI.design, ma con tutto ciò che accade intorno e quindi con la città di Milano e infine il processo di stage, che mette in contatto le imprese dove andranno gli studenti con le esigenze dei ragazzi. In questa terza fase passeremo di nuovo a un’ottica community-led, per attivare nuove forme di scambio – sia top-down sia bottom-up – nel dialogo tra studenti e imprese e, quindi, creare un nuovo meccanismo per far incrociare domanda e offerta.
Qual è stata la chiave di volta per riadattare la community?
Abbiamo individuato chiaramente l’utente dei servizi della community, rifocalizzandoci sulla rilevanza. Laddove c’è una comunità ci sono spesso interessi eterogenei, se non addirittura in conflitto. C’è però l’esigenza di individuare chi è il vero lead user di una community e noi l’abbiamo individuato nello studente, disegnando l’esperienza sui suoi bisogni, che rispecchiano tre macro-fasi: onboarding, vita durante il master e successivamente placement.
La rilevanza delle conversazioni e delle informazioni rispetto a un gruppo omogeneo è uno degli elementi fondativi di una community, ma se ci si focalizza solo su questo i perimetri si irrigidiscono. Invece un aspetto interessante di DOT è la sua dimensione porosa, che fa interagire POLI.design con Mila- no, la città nella quale è situata…
Si valuta una comunità su diverse dimensioni e quindi mi piace questo concetto di porosità e addirittura si riparla di una prossimità, perché oramai non ha più senso evidentemente vedere le community solo come elementi di distanza, ma anche il tipo di scambio è di per sé già un vettore che ogni volta può assumere delle forme, dei contenuti diversi.
La porosità di DOT è evidente nella sua capacità di supportare gli studenti con contenuti e momenti “fisici” coerenti. La piattaforma è diventata quindi il luogo in cui fornire degli spunti, fissare degli appuntamenti e orientarsi. Questo aspetto ha un doppio elemento di integrazione: non solo rispetto al contesto in cui lo studente studia, ma anche con la città, in maniera da far vivere allo studente di POLI. design, che si trova in periferia, il circuito degli eventi culturali e di design di Milano, che è vario e cambia con un’elevata frequenza. Quindi in questo caso l’idea è di supportare gli studenti durante il master, ingaggiandoli su alcuni momenti di vita della città.
Anche in una comunità di pari o nelle organizzazioni a-gerarchiche esistono dei ruoli: possono semplificarsi o specializzarsi, evolversi in maniera diversa, comportare responsabilità e pesi diversi. È questa differenziazione che permette alle comunità di prosperare ed evita che collassino. In che modo questo aspetto riguarda DOT?
Tutte le persone sono diverse e, rispetto all’alterità sociale, si costruiscono ruoli diversi. Solo chi non conosce come funzionano i sistemi complessi può pensare che tutti facciano le stesse cose e che abbiano gli stessi ruoli. Tant’è vero che nelle reti sociali i ruoli sono quasi una proiezione della tua personalità e ti permettono di entrare in contatto con gli altri adottando comportamenti, modi, linguaggi che rinforzano le relazioni dei gruppi. Quindi è chiaro che i ruoli non sono statici, ma devono essere adattivi e trasformativi: i ruoli evolvono, ma vanno dati. In DOT abbiamo fatto un primo passo in tal senso individuando e formando all’interno delle diverse classi dei master dei pivot, che sono un po’ i community manager: si occupano di coinvolgere e animare gli altri studenti.
Quali evoluzioni future vedi per DOT?
Sarebbe bello che i direttori dei master attribuissero dei ruoli diversi in funzione delle personalità, delle varie attitudini creative, analitiche o relazionali degli studenti. Dovremo poi costruire un tassello in più incentrato sulla reason why della partecipazione a DOT, che dovrà slegarsi dai servizi iniziali e dalla dimensione informativa per diventare un luogo di discussione e scambio multi disciplinare.
Vedo poi un ulteriore salto evolutivo: il coinvolgimento degli alumni – e cioè delle persone che hanno abitato la community da studenti e che possono continuare a farne parte con una nuova veste. Ritengo che siano una parte fondamentale della DOT del futuro, tenendo sempre presente che il virtuale è in qualche modo lo specchio del reale: se sei bravo a disegnare nel mondo del fisi- co, la realtà virtuale può accompagnare, agevolare, accelerare, fare da enabler. Se invece non hai gli elementi di disegno della realtà fisica, il virtuale diventa quasi un esercizio di stile.
PROSPETTIVA 3 - CHI PARTECIPA
Soukarni Barai
In DOT rivesti un doppio ruolo: partecipante e community manager. Cosa significa per te farne parte?
Per me DOT è stata il primo punto di contatto con la Scuola di POLI.design e la comunità milanese. Quando ero in India e stavo preparando il trasferimento non sapevo nulla della cultura, del luogo, della gente, di ciò che dovevo fare. E DOT mi ha dato molte informazioni importanti su come orientarmi. Quando poi ho saputo che potevo diventare community manager ho pensato che fosse un’ottima opportunità.
Cosa hai imparato come community manager? Hai acquisito nuove competenze?
Direi che ho imparato innanzitutto lo stile di vita locale. Non avevo idea delle ritualità tipiche della cultura italiana, come l’aperitivo. E ho pensato di organizzare anche questo tipo di eventi per facilitare la conoscenza delle persone tra i master di POLI.design. Mi è sempre piaciuto far parte di organizzazioni che riuniscono le persone e come community manager ho imparato a gestire meglio il tempo e a mettere insieme persone di diverse culture e di diverse classi. Tutto è partito come una sperimentazione, che ora sta diventando una pratica diffusa tra gli altri community manager.
Senti di aver sviluppato un senso di appartenenza alla comunità DOT?
Quando sono arrivata in POLI.design non c’era nulla che collegasse gli studenti dei diversi master e avevo la sensazione che fossimo molto isolati. DOT sta creando legami anche grazie ai community manager, perché tutti noi stiamo cercando di riunire tutti e di creare ricordi condivisi. E avere ricordi in comune genera senso di appartenenza.