Trash. Sconfiggiamo la vendita-spazzatura Vendere significati. Per non vendere spazzatura
A chi non è mai capitato di comprare un vestito o un accessorio assolutamente inutile, di cui ci siamo pentiti subito dopo l’acquisto? Le tentazioni sono tante: in negozio, durante il Black Friday o i saldi, grazie alla complicità di un commesso o all’“acquisto con un clic” che – in una nottata insonne – ci fa comprare dallo smartphone. E poi, chi non ha mai ceduto alle rassicurazioni di un venditore, che voleva farci comprare qualcosa a tutti i costi? Sono situazioni che ci portano ad accumulare “roba” che, per noi, non ha valore. Che, forse, decideremo di regalare a qualcuno, nella speranza di allungare la vita a un oggetto che riteniamo superfluo. Oppure, pur di rimuovere quel senso di colpa che emerge dopo un acquisto compulsivo, getteremo tutto nella spazzatura. E sappiamo bene che non si tratta solo di spazzatura fisica. Da tempo abbiamo iniziato a imbatterci in “cestini” virtuali, dove finiscono i beni immateriali che non utilizziamo più. Ma, spesso, liberarci di un servizio indesiderato è molto faticoso (non vi è mai capitato di sudare sette camicie per cambiare operatore telefonico dopo aver creduto all’ultima promozione?).
Dietro un acquisto trash c’è una vendita trash
Trash è il risultato di una vendita inefficace. La vendita trash genera insoddisfazione nei Clienti, veicola oggetti superflui o non idonei e danneggia la reputazione dei brand. È trash tutto quello che “mi vendi” e che non è “giusto per me”, che mi crea problemi e sudore. Trash è tutto ciò che non intercetta un bisogno, inteso nella sua accezione più ampia: qualcosa che ha a che fare con la vita delle persone. E quindi, come organizzazioni, dovremmo sempre chiederci: i prodotti e servizi che vendiamo risolvono un problema che valga la pena di essere risolto? E ancora: lavoriamo solo per vendere oggetti (per esempio auto) o il nostro obiettivo è offrire concretamente un’idea di mobilità?
Sono questioni “alte”, ma per nulla scontate. Perché spesso, come organizzazioni, siamo tentati di “virtualizzare i bisogni del Cliente” e così la nostra offerta e il nostro modo di renderla accessibile non intercetta bisogni reali, specifici e contemporanei. Crediamo invece che, nella vendita, “risolvere un problema”, significhi progettare i modi migliori per intercettare un bisogno, dandogli forma, significato e tradurlo in qualcosa di tangibile e concreto, adattandolo ad abitudini e comportamenti.
È trash tutto quello che “mi vendi” e che non è “giusto per me”, che mi crea problemi e sudore
Dal “cosa” al “perché”
In un mondo in cui le persone vivono sommerse da prodotti e servizi, da innumerevoli opzioni, dove tutto è acquistabile, le questioni fondamentali non riguardano più solo “cosa” e “come” ma coinvolgono i “perché”. In passato la gente sceglieva e comprava i prodotti che funzionavano meglio. I bisogni erano già determinati e le imprese vendevano creando un differenziale competitivo basato sull’offerta di soluzioni migliori (siamo nella dimensione del “cosa”), poi il primo cambiamento: hanno iniziato a costruire un servizio di vendita differenziale e i venditori hanno cominciato a vendere “vantaggi per i Clienti” (è entrata in gioco la dimensione del “come”). Oggi, spesso, è il “come” a prendere il sopravvento sul “cosa”: i Clienti preferiscono scegliere prima il modo in cui vogliono un prodotto (per esempio con un servizio di consegna a domicilio) e poi decidere se acquistare.
Proviamo a riassumere: sappiamo che non è più sufficiente ragionare sul “cosa vendiamo”, abbiamo compreso che è necessario progettare “come vendere” per abilitare Clienti e imprese a capire, orientarsi, scegliere, accedere, comprare e usare (e, aggiungo, smaltire). Ma c’è un altro passo da compiere: iniziare a visualizzare la vendita non più come un percorso lineare (con un prima, un durante e un dopo), ma come un processo circolare. Perché l’atto di vendita non può interessare solo momenti e numeri legati alla conversione e all’intenzione d’acquisto: la vendita scaturisce quando i Clienti vivono con noi un’esperienza infinita che non è più prodotto-centrica. Perché muoversi, mangiare, vestirsi, abitare, star bene, imparare, divertirsi… sono bisogni che non si esauriscono con l’acquisto di qualcosa, hanno bisogno di essere alimentati con nuove risposte. Per noi quindi il compito della vendita è sempre più riempire di significato questi macro-bisogni e progettare risposte concrete e coerenti per “quel Cliente” (che è un singolo, non un generico target) e per “quella comunità” (che vive e non consuma).
La ricerca del significato
Quindi ciò che lega un’esigenza a un prodotto/servizio è sempre meno frutto di un percorso lineare. Nella nostra società le persone non cercano e acquistano soluzioni predefinite, sono alla ricerca delle domande giuste che permettano di dare forma a problemi che cambiano costantemente. Perché siamo tutti alla continua ricerca di significato e cerchiamo uno scopo piuttosto che un oggetto preconfezionato. E ciò riguarda anche le nostre decisioni d’acquisto: a parità di qualità percepita e di accessibilità, il piacere sta nel cercare, scegliere, comprare e accogliere chi è in grado di offrirci la visione che dà più senso alla nostra vita. E allora, le organizzazioni che fanno la differenza non si limitano a offrire “prodotti migliori”, ma riescono a far innamorare i Clienti donando una nuova prospettiva, che ha un impatto (anche piccolo, ma sempre concreto) sulla propria vita, non solo “risolvendo” ma rendendo obsoleti i vecchi problemi. È un ragionamento che vale sempre di più in un contesto in cui la sfera etica e la cultura dei comportamenti responsabili si stanno rafforzando.
Vendere significa anche progettare i modi migliori per intercettare un bisogno, dandogli forma e significato, per tradurlo in qualcosa di tangibile
Il confronto con la realtà
Già su questo primo passaggio facciamo fatica a portare a bordo le nostre organizzazioni, perché la vendita non può smettere di confrontarsi con i volumi necessari a puntellare il nostro business. Figuriamoci quando iniziamo a comprendere che le imprese di riferimento stanno aggiungendo un ulteriore distacco: i brand forti sono quelli che oltre al “cosa” e al “come” indirizzano i Clienti verso delle prospettive che portano significato nelle loro vite. In altre parole i brand si assumono la responsabilità di produrre, proporre e indirizzare verso una prospettiva finale che abbia significato per i Clienti e per le persone che ci lavorano, per le loro comunità e per la società in cui vivono, costruendo relazioni fiduciarie e facendosi garanti delle scelte.
Qual è il ruolo del venditore?
Pensiamo a chi lavora nei negozi, ai professionisti che ci vengono a trovare a casa o in azienda, alle figure che ci telefonano. Spesso nell’opinione comune sono “imbonitori”. A volte le organizzazioni li incasellano con procedure e approcci standardizzati. Crediamo invece che, per interpretare le trasformazioni di cui abbiamo scritto finora, debba cambiare anche la visione del venditore. Proviamo a pensarli come educatori dei Clienti (B2C), delle imprese (B2B) e delle istituzioni (B2G), in grado adattarsi ai contesti dove la vendita avviene (B2All). Immaginiamoli come i custodi della relazione con i Clienti, perché è la relazione che evita di generare esperienze dannose, impersonali, ordinarie e senza sapore. Puntiamo su un nuovo valore strategico per loro, quello di comprendere ed esplorare bisogni e comportamenti, per entrare in empatia e fare le domande giuste, e per offrire una prospettiva che migliori la vita realmente. Da questo punto di vista, le caratteristiche, vantaggi e benefici di un prodotto/servizio appena presentato a un Cliente acquistano una funzione-guida e non sono solo una leva per fare push. Perché i venditori supportano le persone tanto nella scelta quanto nella non-scelta: si prendono la responsabilità di non vendere un prodotto quando non è idoneo a te, progettano alternative insieme a te e ti accompagnano nell’accesso e all’uso di qualcosa che vuoi comprare. I venditori non sono cowboy solitari, sanno lavorare e collaborare insieme al resto dell’organizzazione, che – sempre più spesso – si dota di piattaforme di vendita “automatica”. Sta a loro, dopotutto, rendere unica l’esperienza perché ti rassicurano, ti accompagnano, ti aiutano, ti riconoscono, si ricordano di te.
I Brand forti oltre al “cosa” e al “come”, creano prospettive che portano significato nelle vite dei Clienti
Forse, come imprenditori e come capi, dovremmo cambiare il modo di selezionare chi ha il potenziale per diventare un nostro venditore, dovremmo rivedere il loro peso nell’organizzazione, le loro responsabilità, il loro ruolo nel sistema di vendita complessivo fisico/digitale e il modo in cui vengono formati e supportati dalle altre funzioni. Perché fornire app e tool all’ultima moda – senza i giusti presupposti – ha una conseguenza banale: rimangono strutturati come i vecchi dischi di vendita, che ingessano ancora di più la forza vendita e ne uccide la capacità di improvvisare e gestire la relazione.
Abbiamo ancora tanto da fare…
La vendita da sempre è necessaria per la sopravvivenza delle organizzazioni, ma a volte è incatenata e relegata a topic operativo, poco executive, confinata in silos che riportano a specifici “pezzi” di azienda. Ecco perché, con questo numero di Weconomy, abbiamo provato a dare forma a una prospettiva aperta che – speriamo – serva da ispirazione a chi si occupa di vendita. Abbiamo raccolto suggestioni e prospettive anziché chiuderci in uno dei tanti funnel presenti sui manuali di Sales Management.
Oggi la vendita è cruciale ed è responsabilità di tutti, motivo per cui abbiamo deciso di avviare la riflessione di questo quattordicesimo Quaderno con persone che di vendita si interessano, con chi se ne occupa tutti i giorni, con chi la progetta: venditori, direttori Sales & Marketing, amministratori delegati, imprenditori, sociologi, ricercatori, futurologi, designer… Insieme abbiamo provato a capire come liberare la vendita dai vecchi cliché – che la rendono trash – per comprendere la portata dei cambiamenti nei quali siamo immersi.