Companies Nuovo o vecchio non conta. L'innovazione è osmosi continua
Per comprendere come una grande azienda può affrontare il cambiamento e per esplorare
le nuove dinamiche che emergono tra le persone durante le trasformazioni
- La vera complessità si incontra quando l'innovazione non è totale, ma è un innesto sull'esistente. E, nella vita reale delle organizzazioni, è il caso più comune
- Cambiare le persone significa soprattutto, renderle responsabili e creative e, per raggiungere quest'obiettivo è importante stabilire una cultura fertile
- Quando una pratica innovativa funziona, contagia tutta l'organizzazione. Sono le persone ad applicarla spontaneamente, perché ne percepiscono i risultati positivi
Secondo uno stereotipo, per le piccole e giovani realtà è più facile innovare. Dal punto di vista di Enel, cosa c’è di vero in tutto ciò?
Concettualmente è vero se pensiamo alle startup perché strutturalmente “nascono” con un modello di funzionamento più flessibile. Qualunque realtà con una storia alle spalle (anche una PMI), quando deve affrontare un cambiamento deve gestire resistenze, poiché ciò implica revisioni organizzative, cambiamento di ruoli, di mestieri e di abitudini consolidate. La vera complessità si incontra quando l’innovazione non è totale, ma è un “innesto” sull’esistente. Enel sta affrontando questa sfida: affiancare una struttura agile a un’organizzazione industriale e strutturalmente complessa. Abbiamo creato hub in tutte le business line. Gli hub hanno obiettivi diversi (alcuni sono technology driven altri customer driven) ma l’effetto che generano è lo stesso: modificare le pratiche lavorative. Gli hub sono organizzati in Agile room, cioè in team ad assetto variabile che aggregano persone in funzione delle competenze necessarie per sviluppare le iniziative di business. In questa nuova modalità, stiamo notando fenomeni interessanti: nei team si incontrano persone con profili completamente diversi, che collaborano e si autoregolano. Quando lavorano insieme figure con background differenti, il risultato è tangibile: il prodotto di esperienze vissute e bisogni reali è più semplice e naturale da capire (e da usare) anche per i clienti interni o esterni.
Non stiamo parlando di futuro contro passato: le persone sono le stesse ma, negli hub, nascono intuizioni e pratiche collaborative che vengono assorbite e si diffondono anche quando si ritorna alle attività quotidiane. Si crea un’osmosi continua.
Quando lavorano insieme figure con background differenti, il risultato è tangibile
Le nuove metodologie, come Agile, stanno generando nuove abilità?
La metodologia Agile introduce nuovi ruoli e competenze (scrum master, experience designer, data scientist, Agile coach), ma fa emergere anche una rimodulazione e valorizzazione di competenze già esistenti. Se ci pensiamo bene, le collaboration skill non sono nuove, esistevano già in azienda. Lo stesso vale per la servant leadership, che restituisce al responsabile il ruolo di facilitatore di contesti, creatore di senso e valorizzatore delle differenze. Ciò che porta le persone a essere responsabili e creative non ha bisogno di un’etichetta per esistere, c’è sempre stato ma, con il contesto fertile, diventa fondamentale, viene esercitato e quindi amplificato. E ciò vale anche per le skill tecniche. A nuove parole non corrispondono necessariamente nuove persone. I nostri business translator, per esempio, sono figure che conoscono già bene l’azienda e il suo business e sono efficacemente affiancati a nuove figure come i data analyst. In questo modo, anche competenze tradizionali vengono rivalorizzate e al contempo ampliate.
Oltre al modello organizzativo, cosa è necessario per far sì che i nuovi ruoli generino pratiche positive e nuovi comportamenti?
Senza dubbio serve una cultura fertile. Paradossalmente, in un processo di change management come il nostro, questa cultura è più necessaria dove l’azienda lavora nel modo tradizionale. Perché, quando il business presta le sue risorse agli hub, non deve pensare che le nuove strutture appartengano a un’altra azienda. Se una cultura non pervade tutti, c’è il rischio che venga rigettata. Le persone devono essere aiutate a comprendere che le nuove metodologie aiutano anche nel quotidiano. Ecco un esempio positivo: il marketing sta iniziando a organizzare il proprio lavoro “routinario” di puro pensiero e strategia in room al di fuori dei digital hub, perché ha visto che, aggregando figure con punti di vista diversi, ottiene risultati migliori e in tempi inferiori.
Come si possono far interiorizzare cambiamenti così profondi, a livello diffuso (e farli diventare azioni pratiche)?
Attraverso un percorso che integra in maniera coerente alcune dimensioni organizzative:
- Cultura: occorre trasmettere valori e messaggi chiari che possano aiutare tutti a dare un senso compiuto alle proprie azioni quotidiane. Enel ha rivisto come prima cosa i suoi valori, definendoli in maniera open, condivisa e aperta al futuro. In coerenza con ciò abbiamo di recente introdotto l’open feedback evaluation: i feedback non sono più “giudizi” del capo bensì forme di valutazione diffuse.
- Formazione: non si può cambiare senza “abilitare” a nuovi comportamenti e “pratiche professionali”. Abbiamo introdotto, ad esempio, lo shadowing e il coaching per aiutare le persone a esprime il proprio valore.
- Modo di lavorare: tutti nella vita privata siamo abituati a interagire e condividere spazi virtuali (whatsapp, facebook ecc.) e occorre traslare questi comportamenti nel lavoro. Gli smart office degli hub, senza scrivanie e postazioni classiche, sono un esempio di “fisicità” che aiuta questo processo di condivisione e collaborazione.
- Modo di comunicare: in alcuni casi le “Comunicazioni organizzative” hanno sostituito le classiche “Disposizioni organizzative”. Quindi non più documenti con “celle” che incasellano responsabilità, ma comunicazioni che, per esempio, attraverso l’istituzione di comitati guida, puntano a facilitare l’autoregolazione e l’evoluzione organizzativa.