Gen Z, se il pensiero digitale è immaturo

Society Gen Z, se il pensiero digitale è immaturo

L’idea che i più giovani siano più tecnologicamente alfabetizzati non sempre corrisponde alla realtà

sintesi

27 febbraio 2015. IlSole24ore.com apre uno squarcio sull’universo giovanile: “Il falso mito dei «nativi digitali»: quasi il 50% non sa usare Internet”. Solo una provocazione giornalistica? Non proprio. È la sintesi dell’indagine ECDL Foundation: “È tempo di smascherare il «falso mito» secondo il quale i nativi digitali, proprio per essere cresciuti nell’era di Internet, sarebbero capaci di usare il Web con innata dimestichezza: il 42% dei giovani non è ben consapevole dei rischi di navigare usando una rete wi-fi aperta, il 40% non protegge all’accesso il proprio smartphone e addirittura il 50% non si preoccupa di controllare le autorizzazioni richieste per l’installazione di app.” Sono dati che colpiscono, numeri che spronano a guardare i giovani con occhi reali, fenomenologici, veri. Perché i Gen Z, oggi, sono i Clienti e i prospect del mondo dell’Impresa. Ma domani ne saranno gli abitanti e gli attori protagonisti. È per questo che scelgo una prospettiva terza per osservare i ragazzi nati nel 2000, un’inquadratura messa a fuoco nei percorsi d’aula del progetto Alternanza Scuola Lavoro con Intesa Sanpaolo. E ho visto i polpastrelli sollecitare velocissimi la retina dei display. Mentre poi, senza soluzione di continuità, ho ascoltato il silenzio più disarmante di fronte alla domanda: “Qual è il vostro sito web preferito?”. Perché i Gen Z sanno fare tap, swap e scroll, ma poco o nulla conoscono dell’infrastruttura hardware e software che abilita i loro percorsi di emozione e navigazione. Sono le domande semplici a suscitare in loro sgomento: “Ragazzi, quando salvo un file su Dropbox, secondo voi dove va a finire?”. Silenzio. E poi qualche timida ipotesi: “Sul tuo computer. Anzi, no. È su Google!”. E lo vedi anche da come si misurano con una ricerca in Rete: superficiali e approssimativi, si accontentano dei primi link restituiti dai motori. Mancano di profondità di analisi, di critica delle fonti, di metodo di ragionamento – se devo studiare un brand, posso forse accontentarmi di navigare il suo sito vetrina? O sarebbe utile chiedersi che cosa ne dicono i consumatori-Clienti, come lo raccontano i competitor e gli istituti di ricerca, che sentimentgenera sui social? Non si tratta dell’O tempora, o mores di un (quasi) quarantenne, vi voglio rassicurare. Siamo di fronte a una folla di giovani belli, freschi e curiosi. E soprattutto, desiderosi di gettarsi nella mischia della società, del lavoro, della vita adulta. Ma la domanda giusta è: come possiamo attrezzarci a trarre il meglio da loro? Ecco, io mi sono fatto qualche idea. 1. Domande. E ancora domande. Alleniamoli, alleviamoli e nutriamoli con le domande. Domande che provochino reazioni, che suscitino curiosità, che sveglino spirito di scoperta e intraprendenza. Non accontentiamoci delle loro prime risposte. Perché sono semplicistiche, banali. E molto più novecentesche di quanto potremmo immaginare. Serve il perché che sveli il senso, il perché capace di incendiare la creatività. Serve un pensiero analogico, che faccia da hardware al loro procedere digitale modello link. 2. Agire. Essere esempi. Incarnare i nostri valori. A loro serve un calco da poter imitare, una personalità appassionata da emulare. Per confrontarsi con un mondo adulto che abbia ancora voglia di dire la sua, e tradurla in fatti, azioni, pratiche. Mai stare un passo indietro, illudendosi che i nativi digitali siano una sorta di nuova progenie 2.0, con le competenze intellettuali ed emotive preinstallate per lasciare un’impronta nel mondo. È un’illusione deresponsabilizzante: hanno bisogno di noi, quanto noi di loro. 3. Incoraggiarli. Sostenerli. Coinvolgerli. L’adolescenza non ha età. Non nel senso che puoi essere teenager a tutte le età. Quanto piuttosto che gli anni della pubertà, a tutte le latitudini storiche, si assomigliano molto. E quindi puoi ritrovare in molti le paure che segnavano la Generazione X e la Y. Paura di non capire cosa fare da grandi, di non trovare lavoro, di non trovare il proprio posto nel mondo. Con l’aggravante che, in questi anni ’10, il contesto socioeconomico è sempre più instabile. E la precarietà di vita aumenta. Serve allora far vivere esperienze nutrienti e di senso, a questa Gen Z, percorsi che possano aumentare la people consistency e lasciare in dote strumenti teorici e operativi per determinare il futuro.   Per leggere altri articoli del Quaderno #11, clicca qui e scaricalo.

Weconomy book

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    Thinking, connecting, cooperating, collaborating, swarming, empowering, democratizing, sharing: il futuro è già cambiato.

    Il primo mattone che ha dato il via al progetto Weconomy. Weconomy, L’economia riparte dal noi esplora i paradigmi e le opportunità dell’economia del Noi: più aperta, più partecipativa, più trasparente fatta di condivisione, reputazione e collaborazione. Grazie al mash-up di contributi internazionali e alla partecipazione di oltre 40 co-autori, Weconomy Book è un serbatoio di energia, pensieri, teorie, storie, pratiche e strumenti che ruotano attorno al tema del talento collettivo. Un incubatore informale e aperto al contributo di tutti, per immaginare, creare e continuare ad innovare il futuro dell’economia.

Magazine

  • Una visione completamente diversa

    Una visione completamente diversa

    Le comunità trasformative sono organismi viventi situati in spazi ibridi. Sono multidimensionali e porose, sempre in movimento e attraversate da esperienze che attivano scambi e generano azioni trasformative. È mettendo al centro queste comunità, oltre agli individui che le abitano, che possiamo affrontare le grandi sfide del presente e del futuro, generando impatti positivi.

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    UFO. Unidentified Future Organizations

    Le organizzazioni sono diventate UFO: oggetti non identificati in trasformazione. Oggi abbiamo la possibilità di immaginare un futuro desiderabile per questo nuovo tipo di imprese, ibride distribuite. A partire dal nuovo ecosistema di relazioni e dai legami significativi tra persone, territori e comunità.

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    In questo Quaderno indaghiamo le origini del trash. Che, per noi, nascono da quella vendita che non risolve problemi reali e concreti. L'antidoto è una vendita circolare e infinita, che trae il massimo vantaggio moltiplicando i punti di contatto con il Cliente, coinvolgendolo e generando una visione condivisa tra persone e organizzazioni.

  • Kill Skill: un non catalogo di competenze

    Kill Skill: un non catalogo di competenze

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    In questo Quaderno abbiamo affrontato il tema delle skill dal punto di vista sistemico, per esplorare ciò che ispira e motiva a imparare, a praticare nuovi comportamenti e innesca percorsi evolutivi che connettono persone e organizzazioni.

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    Quid novi? Generazioni che collaborano

    Q come Quid Novi – Generazioni che collaborano. Il quaderno numero 11 di Weconomy si concentra sulla condivisione di luoghi, tempi e spazi da parte di diverse generazioni con mindset differenti e sulle trasformazioni che questa convivenza implica. Autori dalle età, competenze e mestieri diversi, per assicurare un punto di vista molteplice. Perché la collaborazione tra generazioni è un’opportunità.

  • POP Collaboration: Point Of Presence

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    P come P.O.P. Collaboration. Il decimo quaderno descrive lo spettro di significati assunti dall’io nei processi di collaborazione. 12 autori dai background diversi si interrogano sul ruolo dell’individuo che si riprogramma e si trasforma (Hyperself) e che collabora in maniera diffusa e spontanea, essendo consapevole del ruolo degli altri io coinvolti (Integrated Self). L’io come particella fondamentale della collaborazione.

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    O come OOPS, OR, OK. Il Quaderno 9 indaga il paradosso della scelta continua: tra i 14 autori che esplorano le tematiche legate al “prendere decisioni”, troviamo dall'astronauta, al medico, dal designer al community manager, tutte persone che lavorano in contesti in forte trasformazione. Perché di fronte alla scelta e alle opzioni, l’unica scelta veramente sbagliata è non scegliere.

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    Ne(x)twork: flow, amplified identity, common environment

    N come Ne(x)twork, neologismo che gioca sulle parole next, work e network. Il Quaderno 8 è dedicato al futuro del lavoro e alla necessità che questo sia connesso e condiviso in modo continuo. Una condivisione che porta alla creazione del Flow (Flusso) che l’Impresa collaborativa ha il bisogno di saper dirigere, coordinare, stimolare ed eventualmente modificare in itinere.

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    Management: Cross, Self, Content

    M come Management. Il settimo Quaderno esplora le mutevoli dinamiche e i cambiamenti che riguardano il mondo del Management: un racconto in tre atti di come intrecci tra universi diversi (Cross), propensione all’auto-organizzazione coordinata (SELF) e valorizzazione dei contenuti sull’offerta (Content) rappresentino le tre diverse dimensioni nelle quali l’Impresa collaborativa si sviluppa.

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    L di Local.Un’occasione per riflettere e agire sulla (e dalla) dimensione collaborativa come combinazione di Talent, Community e Making. Con inserto dedicato alla quarta dimensione del Tempo con Timescapes.

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    I come innovazione, che è prima di tutto unaa questione di valori (e di valore). E innovare il contenuto (Info), innovare l’attitudine (Indie), innovare la relazione (Inter) sono le tre possibili scelte di valore per le Imprese.

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    HR: Human (R)evolution

    La “Rivoluzione dell’Impresa” che mette la persona al centro del suo futuro. Una rivoluzione che trasforma la Persona umana da risorsa ad “atleta, acrobata, artigiano”.

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  • Design: (Re)shaping Business

    Design: (Re)shaping Business

    D come Design: aperto, social e collaborativo, a disposizione dell’Impresa per (ri)dare forma al business. Un quaderno che raccoglie e sviluppa spunti e contributi emersi durante l’evento Making Together.

  • Auto, Beta, CO: (Ri)scrivere il Futuro

    Auto, Beta, CO: (Ri)scrivere il Futuro

    Il quaderno dedicato alle prime lettere dell’alfabeto per l’Impresa collaborativa: A come Auto, B come Beta, C come Co. Perché la collaborazione è sì una necessità, ma funziona solo se c’è uno scopo e un senso condiviso.