People E ora? I rischi da presidiare, le occasioni da non perdere
Per trasformare le skill in comportamenti è necessario un approccio sistemico, che tenga conto della realtà quotidiana delle persone e delle organizzazioni
- Le skill sono frutto di un apprendimento senza fine, allora è importante indagare quello spazio tra ciò che "diciamo di fare" e ciò che "facciamo veramente"
- Se l'apprendimento non è costellato di momenti di incontro, si rischia un effetto reboud che scoraggia l'applicazione di pratiche nuove
- Per fare qualcosa di nuovo, è necessario valorizzare un rischio: quello di non avere le massime performance: è un rischio positivo, perché segna il passaggio dalla sperimentazione alla pratica. E ciò che permette di acquisire sicurezza e far diventare una skill un comportamento
Le skill prendono vita attraverso i comportamenti, si consolidano in sperimentazioni coraggiose, si affinano nella pratica quotidiana in un never ending learning by doing.
Il comportamento è un’azione osservabile (anche come omissione) prende posizione, crea impatto, segna un confine netto tra il prima e il dopo rispetto all’apprendimento, dichiara quanto sappiamo applicare una skill. Il suo destino è legato a più elementi: valori e convinzioni che lo orientano, attitudini che lo rinforzano, contesto e dinamiche che gli permettono di esistere.
I comportamenti dicono la verità; sempre di più, infatti, chi si occupa di customer o employee experience dedica tempo all’etnografia, perché le interviste non bastano, è indispensabile indagare quello spazio affascinante che esiste tra quello che diciamo di fare e quello che facciamo veramente.
Un comportamento osservato ci fornisce dettagli sulla persona che lo agisce. Un ragazzo che, rientrando da scuola con i suoi compagni, si attarda sulle strisce pedonali per far attraversare un signore con il bastone che avanza con impaccio, ci svela un po’ della sua famiglia di origine, dei valori che lo guidano, della fiducia che ripone nei suoi amici che lo aiuteranno a fermare le macchine. Ci svela soprattutto la sua attitudine a prendersi cura degli altri. Questa sua attitudine la potrà valorizzare negli anni facendo il medico così come il responsabile di un innovation center; in entrambi i casi gli sarà riconosciuta come preziosa, sarà una buona base sulla quale “appoggiare” diverse skill.
Una nuova skill da apprendere è esposta a molti rischi di “evaporazione” prima di avere il tempo per concretizzarsi in comportamenti, prima che conoscenza e azione possano creare un’alleanza significativa.
Penso ad esempio a quante volte, nelle aule di formazione, mi sono allenata con team di vendita su come vendere soluzioni e non prodotti, intendendo il cross selling come servizio al cliente e non solo come mezzo per incrementare i KPI. Sono tanti gli elementi tra i quali imparare a destreggiarsi oltre a conoscere bene l’offerta e il proprio magazzino (virtuale o fisico): saper fare buone domande per aumentare la conoscenza del cliente, ascoltare, progettare l’ingaggio più adatto e saperlo fare al momento giusto, gestire le possibili resistenze o obiezioni. Allenandosi insieme, tutto funziona anche perché, checché se ne dica, in aula si è in un ambiente protetto, tutti sulla stessa barca. Il momento della verità è in negozio, dove – purtroppo – spesso i migliori propositi vengono vanificati da una congiunzione astrale negativa che ci viene raccontata nei follow-up.
Una nuova skill da apprendere è esposta a molti rischi di evaporazione
Qualche esempio? I colleghi ricordano ai malcapitati il vecchio adagio “chi troppo vuole nulla stringe”, al rientro in negozio, i potenziali cross seller si ritrovano con il turno di domenica (“Dai sei stato via due giorni!”), lo Store Manager (che non ha partecipato alla formazione), osservando il venditore che sperimenta un nuovo modo di intervistare il cliente, interviene a gamba tesa nel dialogo (“Scusa, conosco il signor Rossi da anni e so bene quello che vuole! Lascia che me ne occupi io…”). Solo i più resilienti ritentano, con gli altri è necessario riprendere il filo della motivazione, ricreare la convinzione che le cose possano realmente essere fatte in modo diverso per migliorare i risultati. Non sempre c’è questa occasione.
Spesso i follow-up non sono previsti, vengono percepiti come ridondanti quando invece sono il “fissante” dell’apprendimento.
Vi ho raccontato una storia, sintesi di tante altre, non solo legate alla vendita, per lanciare un alert su quanto sia importante seguire le persone dopo la formazione, per dare supporto e continuità, per minimizzare il pericolo che nulla accada.
Ricreare la convinzione che le cose possono realmente essere fatte in modo diverso per migliorare i risultati
I rischi più concreti sono, a mio parere, la mancanza di motivazione: fare qualcosa di nuovo è faticoso e ci espone, come prototipi instabili e fragili, al giudizio di chi, spesso, è pronto a criticare e non a dare feedback costruttivi. Ed ecco che incontriamo una seconda trappola. Se in azienda non si diffonde una cultura che accolga i primi passi verso qualcosa di innovativo, non coltivando il permesso di sbagliare, allora non si osserveranno facilmente nuovi comportamenti, nemmeno dopo la learning experience più ricca e coinvolgente.
Accanto al permesso di sbagliare ne troviamo uno più complesso da accordare da parte delle organizzazioni (e da “prendersi” da parte delle persone): il permesso di rallentare, di ridurre temporaneamente la propria efficacia, le proprie performance, mentre si impara e si sperimenta qualcosa di nuovo, in attesa di integrare e sentirsi di nuovo saldi. Quando io decido, ad esempio, di proporre un nuovo tema in aula, magari un po’ provocatorio, mi ronza sempre in testa una frase di un testo Jovanotti, “Cosa sei disposto a perdere?”.
Per diffondere nuovi comportamenti è indispensabile garantire un "contesto di fiducia"
Un ultimo elemento che secondo me può rallentare in azienda la declinazione di skill in comportamenti è l’assenza di opportunità di applicazione: perimetri di responsabilità ristretti, processi vincolanti, mancanza di progetti. Questa mancanza genera spesso un “effetto rebound” di alto impatto. Pensiamo ad esempio al tema della collaborazione. Un evergreen, la petite robe noire della formazione, nel dubbio viene scelta, in fondo si pensa che non possa non essere utile. In realtà guidare le persone ad avere il coraggio di dare, a fidarsi, a credere nella potenza della collaborazione generativa, crea una tale energia che si trasforma in frustrazione e delusione se le persone, al loro rientro, si devono riadattare a una organizzazione a silos, nella quale l’obiettivo del singolo o della funzione vincono su quella del team o dell’azienda. Per assicurarsi quindi che nuovi comportamenti si diffondano – motivando le persone attraverso la gratificazione nel vedere che funzionano e generano innovazione di valore –, è indispensabile a mio parere garantire occasioni di applicazione e un “contesto di fiducia” dove le persone sappiano di potersi sperimentare come prototipi ancora “fragili”, ma pronti a consolidarsi grazie ai feedback dei loro capi, dei colleghi o del cliente.