Design Collaboration Design: dal senso all'azione
sintesi
Al design collaborativo (“collaborative design”) corrisponde in ambito d’impresa (di formazione d’impresa, in particolare) un secondo concetto che del primo è lo specchio, il prerequisito: il design della collaborazione (“collaboration design”). La collaborazione non si improvvisa; essa richiede a sua volta una fase di pre- (o meta-) progettazione che l’abiliti e la faciliti attraverso gli spazi, le regole, i metodi corretti.
Il design della collaborazione nasce da una prima, forte esigenza: condividere un senso comune sul quale costruire un progetto, di qualunque natura esso sia. Non si “parte” se non da qui: dalla delimitazione di un perimetro di significato forte nel suo nucleo centrale e nei suoi principi-guida ma, allo stesso tempo, “poroso”, permeabile ai contributi dei singoli individui, capace di arricchirsi delle loro idee e dei loro spunti di sviluppo ed esplorazione. Condividere questo “senso” all’interno di un’organizzazione (trasformarlo cioè in “con-senso”) vuol dire mettere a disposizione di tutti un potente strumento di guida (“driver”) all’azione e al cambiamento. Vuol dire accendere un faro ben visibile, intorno al quale potranno poi aggregarsi nuovi progetti e significati. Vuol dire scegliere di incanalare, di dare una direzione creativa, a energie che rischierebbero altrimenti di disperdersi.
Quando intraprendere questo genere di percorso? Gli ambiti di applicazione del collaboration design sono molteplici; tre dei più efficaci sono:
- quando si intende condividere una vision e disegnare insieme, intorno a questo polo di attrazione, una serie di “sfide” per concretizzarla, di nuovi nuclei di significato possibili;
- quando si ha la necessità di mettere a fattor comune un obiettivo strategico e dare forma in modalità collaborativa agli specifici progetti che ne costituiranno la parte “realizzativa” (una sorta di “call to action” per coinvolgere le persone nella definizione degli obiettivi)
- quando si vuole portare a bordo di nuovi progetti ad alto tasso di innovazione (specie in materia di design dei servizi) il maggior numero di persone, raccogliendone le idee e facilitandone così il “metabolismo” (l’innovazione d’impresa – si sa – non sempre è facilmente digeribile…).
Scegliere l’ambito di applicazione giusto per il collaboration design è un insight prezioso; ma ancor più decisivo risulta il modo in cui attivarlo. Il “segreto” è uno solo: avere metodo. Comunicare gli step del processo nella maniera più chiara e semplice possibile (quali siano le fasi di un workshop collaborativo, per esempio, e quale ne sia soprattutto l’obiettivo centrale). Mantenere l’attenzione focalizzata sui sotto-obiettivi attraverso ritmi serrati e un rigoroso rispetto dei tempi. Definire con la massima precisione la natura dell’output che ne deve emergere. Stabilire esattamente i ruoli delle persone, in un’ottica di auto-organizzazione paritaria ma, al tempo stesso, funzionale al raggiungimento di singoli obiettivi specifici.
C’è un ultimo ingrediente, fondamentale: l’accompagnamento del design della collaborazione da parte di un team di facilitatori professionisti. Un facilitatore capace di compiere il giusto “passo indietro” progettuale, infatti, è la conditio sine qua non del buon funzionamento del processo collaborativo, che potrà così contare su una visione sistemica dell’intero progetto dalla corretta distanza. Per abbracciare la complessità in tutta la sua ampiezza, per passare realmente dal senso all’azione.