People 4 Generazioni 4 Domande
Il presente e il futuro della questione generazionale in 4 domande e risposte.
sintesi
Abbiamo posto queste 4 domande alle 4 generazioni che convivono e collaborano all'interno di Logotel: 1. Le differenze generazionali sono qualcosa di rilevante e che percepisci nella vita quotidiana? Se sì, in che termini? Che tipo di impatti, attriti, sfide, sinergie generano? 2. Nella vita aziendale di oggi quanto contano le differenze generazionali? Generano opportunità? Creano rischi? 3. Hai iniziato a usare emoji anche nelle email di lavoro :)? In effetti il mondo del lavoro è cambiato, dagli approcci comunicativi, alle motivazioni, ai modi di relazionarsi. Com’era la vita in azienda quando sei entrato? Com’è oggi? 4. Dietro a una scrivania, sempre in giro per il mondo, in riunione con un robot, all’oblò di un’astronave: come ti immagini al lavoro tra 20 anni? E come saranno le aziende tra 20 anni? Hanno risposto così: Antonio Russo (anni: 60 e qualcosa, Impegno) È probabile che abbia sforato il numero di battute, ma è un po’ la struttura del comunicare della mia generazione :), quella che in prevalenza non usa Twitter come principale strumento di intrattenimento. Non sono allenato a stare stretto di caratteri (ergo… prolisso per i Millennials e succedanei). 1. Sono circondato piacevolmente dalle generazioni diverse dalla mia, principalmente più recenti della mia. Ho due figli e un sacco di colleghi millenials. La prima differenza che emerge è la velocità di interazione e di condivisione di tutto, il multitasking come condizione necessaria. Uno dei mantra della nostra generazione (preso in prestito dall’oriente) era: fai una cosa alla volta, dedicati completamente, stai nel qui e ora... 2. La mia generazione gli stimoli doveva andare a cercarseli, adesso i Millennials sono sotto bombardamento di stimoli, unità di grandezza più stimolati. Più semplice per la mia generazione stare focalizzati su qualcosa, andare più in verticale, approfondire e come effetto collaterale, essere meno multidisciplinari, più frammentari. Trovo i Millennials più capaci di mettere in relazione entità, fatti, idee... più aperti ad una visione sistemica. E questo è un ottimo terreno di sinergie e collaborazione. 3. Emoji dovunque sin alla prima ora e su Facebook dal 2007 ;). Ho cominciato a lavorare nel settore ICT, quindi uso la posta elettronica dagli anni ’80, ma adesso la velocità di comunicazione e la connessione h24 cambiano completamente la visione del lavoro. Ad esempio la separazione tra vita privata e lavoro era netta e “spontanea", adesso è necessario gestirla con impegno per rimanere in equilibrio. Work-life balance è sempre più un tema cruciale ed una sfida. 4. Tra 20 anni, ultra 80enne, il mio futuro è no -profit ;), gioco con i nipoti, viaggio per piacere e aiuto chi mi pare come coach e come consigliere. L’asintoto verso il quale le aziende e il sistema globale convergeranno sarà quello di una sostenibilibiltà complessiva: un’equa distribuzione delle risorse tra le persone, un uso delle risorse sostenibile, per motivi economici prima che morali. Voglio essere ottimista, tra 20 anni una larga maggioranza delle aziende in Fortune 500 propone un Why fortemente legato a valori di sostenibilità e fairness (declinata in molte forme). Maria Grazia Gasparoni (anni: 50 e qualcosa, Identità) 1. Nel mio quotidiano collego attriti e sinergie, tra me e chi fa parte del mio sistema relazionale, al grado di assonanza del rispettivo imprinting culturale e di “educazione alla vita” (valori, aspirazioni, priorità, …). Quando queste mappe si assomigliano, pur nella diversità di opinioni e di generazioni, anche il confronto più acceso attiva sinergie o punta alla volontà di crearle. Proprio come in un quadro materico ingredienti e tecniche diverse creano un insieme di senso, vibrante, armonioso. In assenza di questi sottili connessioni non è impossibile lavorare alla stessa sfida ma aumenta la necessità di monitoraggio e le sinergie attivate rischiano di essere tattiche, situazionali e, quindi, volatili. 2. Dipende dalla consapevolezza di se stessi da parte delle persone delle diverse generazioni e dalla loro capacità di distinguere, nella relazione e nel confronto, tra obiettivi e intenti. A mio parere, in un tavolo di lavoro con più generazioni, si crea maggiore valore in quando chi è più senior mette a disposizione la sua esperienza come ispirazione senza imporre le proprie soluzioni o affermarsi grazie alla propria seniority. D’altra parte, per i più junior, la tentazione che genera il rischio di conflitto è quella di svalutare aprioristicamente quanto “fatto in passato” facendo prevalere idee e soluzioni innovative. Così facendo le diverse generazione perdono di vista il valore aggiunto della “reazione chimica” tra esperienza e innovazione, che si scatena solo quando obiettivi e intenti corrispondono. Vedersi come persone poliedriche e uniche e come stereotipi di generazioni contrapposte potrebbe essere d’aiuto. 3. Li uso poco, solo in quelle informali, quando non ho il tempo di usare le parole per esprimere il mio “tone of voice”. Ho lavorato prevalentemente in start up, forse per questo non vedo molte differenze nel modo di relazionarsi in azienda che vivo oggi. Grazie al mio lavoro frequento aziende che avrei considerato “ingessate” già 25 anni fa e altre che vedo fluide e appassionate come le migliori dello stesso periodo di riferimento. Gli ingredienti per una buona comunicazione e motivazione sono ricorrenti come quelli di un buon cocktail: obiettivi chiari, meritocrazia, fiducia reciproca e passione. Un’azienda dove si sanno alimentare questi elementi è, a mio parere, irresistibilmente sexy e attraente per un talento, junior o senior che sia. Genera appartenenza, è destinata a rimanere tatuata sulla pelle e non solo scritta nelle righe di un CV. 4. Al lavoro tra 20 anni non sarò proprio un fanciulla ma mi vedo facilitata dalla tecnologia, da un’alleata preziosa che mi consentirà di accedere più velocemente a luoghi, spazi e persone, abbattendo i costi e la fatica, aumentando le opportunità di ispirazione, scambio, collaborazione. Le aziende le vedo con questi elementi di miglioramento. Tra 20 anni le vedo ancora di più fatte da persone e per le persone, più coerenti nei loro ritmi con la qualità della vita. La tecnologia ci aiuterà ad abbattere le barriere che noi spesso contribuiamo a creare, fuori e dentro le aziende. Tra 20 anni dipenderà ancora da noi. Ancora di più. Gabriele Buzzi (anni: 40 e qualcosa, Generazione X) 1. Dipende molto dai contesti: sul lavoro, ad esempio, le differenze vengono “attutite” dagli obiettivi comuni e da uno stile di vita abbastanza trasversale (contesto urbano, “creativo”, dinamico). Paradossalmente sento maggior distanza con amici coetanei che però vivono in provincia e hanno uno stile di vita e una mentalità diversa dalla mia (e questa separazione città/provincia è uno dei trend di questi anni, ma questo è un altro discorso…). Diverso è il caso della generazione Z che ho impattato con il progetto ASL, in questo caso le distanze sono più marcate anche all’interno di un contesto uniforme: lì capisco meno, ma direi che “ci sta”, sto invecchiando anch’io! 2. Sicuramente opportunità. Le differenze (tranne casi estremi) arricchiscono. 3. Le emoticon dominavano già :), magari negli sms. Per il resto il mondo del lavoro mi sembra migliorato: le nuove generazioni mi appaiono più serie, motivate e preparate della mia. Probabilmente perché sanno che non si scherza più (gli anni ’90 ci avevano illuso che potevamo permetterci il lusso di fare i “loser” ad oltranza). 4. Spero di poter gestire sempre di più il mio tempo e le mie decisioni. I robot spero saranno capi comprensivi e “umani”. :) Giuseppe Schiavone (anni: 30 e qualcosa, Early Millennial) 1. Le percepisco e sono rilevanti. Tutti i giorni, anche sui mezzi, pure in coda al supermercato, ho difficoltà a immaginare, per fare un esempio, la vita interiore dei pensionati che vanno alle Poste alle 8:15 dei giorni feriali. A volte questa difficoltà diventa un po’ insofferenza. Credo abbia a che fare con la riduzione per certi versi inattesa della mobilità sociale (che significa una distribuzione meno equa non solo delle risorse, ma anche delle opportunità) di cui sono testimone e con cui si sono trovati ad avere a che fare i miei coetanei. L’impressione, probabilmente poco lucida, è che l’idea stessa di cosa significa lavorare sia radicalmente diversa per le nuove generazioni: per fare un esempio, la distinzione tra tempo della vita e tempo del lavoro, quella tra la narrazione del professionista e della persona mi pare siano via via sfumate. Per me la sfida è duplice: da un lato devo imparare la pazienza (anche se è cliché, è vero che sono abituato a ricevere la spesa su Prime Now in due ore), dall’altro voglio scongiurare la possibilità di scontare l’enorme patrimonio di competenze, in particolare relazionali, delle generazioni passate. 2. Come dicevo oramai vita privata e professionale non hanno confini precisi, perciò se le differenze contano nel mondo ‘là fuori’, contano in azienda. Come qualunque differenza, anche quella generazionale crea una distanza, e quindi uno spazio di confronto, un terreno. L’opportunità quindi è quella del dialogo, dell’apprendimento reciproco, quella forma di mutua educazione che poi è un po’ la relazione amorosa (Carmelo Bene diceva, in un senso spregiativo che non condivido, che l’amore è una forma di reciproco plagio). Il rischio grosso, almeno credo, è quello di parlare tramite canali, con un lessico e un ritmo che chi è giovane trova superati e distanti, chi è vecchio incomprensibili. In poche parole c’è il rischio di non innamorarsi. 3. Ho iniziato a lavorare in azienda da relativamente poco tempo (3 anni; prima mi sono dedicato solo allo studio) e non mi sono mai concesso di usare emoji nelle mail di lavoro con persone più anziane a meno che fossero loro a sdoganarle per prime. Una differenza che mi sembra, anche senza averne vissuto il pre- e il post-, abbastanza radicale è quella introdotta dagli strumenti digitali ‘asincroni’ (come mail, chat etc.). Oggi convivono persone che (io, ma non necessariamente la mia generazione) hanno piacere di gestire le notifiche, le interruzioni, il flusso di lavoro, senza staccare gli occhi dallo schermo. Mi dà la sensazione di poter decidere di posporre e ignorare. Noto invece che è frequente, in chi è meno giovane, il ricorso alla telefonata, all’incontro, alla riunione. Tutte modalità d’interazione sincrone nelle quali ciascuno è tenuto a presenziare nello stesso momento in cui presenziano gli altri. Non credo una delle due modalità sia più efficace dell’altra in senso assoluto. 4. Hanno promesso la fine del lavoro già oramai ad almeno 2 generazioni. È una promessa che è stata, per ora (e per fortuna direi), sistematicamente disattesa. Questa volta però sembra che ci siamo davvero vicini e credo che progressivamente qualunque mestiere (nel senso più proprio del termine) verrà surrogato: dalla consulenza legale alla chirurgia bariatrica. Penso però che, tra vent’anni, ci sarà ancora mercato per quello che faccio. Mi immagino impegnato nell’unica attività per cui non credo, come essere umano diciamo, di poter essere sostituito (che è qualcosa di molto simile a quello che già faccio in Logotel oggi): dedicare la mia attenzione, il mio tempo, alla cura di qualcun altro. Il fatto che io possa scegliere, in qualunque momento, di fare qualcosa di diverso rende il mio tempo, la mia attenzione in un senso irriproducibili. E credo che, finché saranno altre persone a scegliere cosa comprare, come spendere i propri soldi, ci sarà sempre un posto per le cose speciali. Nicole Rigatti (anni: 20 e qualcosa, Late Millennial [la più giovane di Logotel]) 1. Personalmente non percepisco enormi differenze generazionali con le persone con cui mi rapporto. O meglio, dipende dagli ambiti a cui si fa riferimento e dall’interesse che si ha nello sviluppare certe competenze e conoscenze. La differenza più netta la noto dal punto di vista tecnologico con i miei genitori o con persone che superano i 60 anni. Mi rendo conto che azioni che per me sembrano scontate e banali per loro sono estremamente difficili da pensare e il modo di approcciarsi alle novità è totalmente differente. [Quello che noi riusciamo a imparare in poco tempo, per loro richiede più impegno, ma ci tengo a precisare che parlo solo dal punto di vista tecnologico. La situazione ormai si ribalta quando si fa riferimento a lavori manuali, per cui c’è un certo snobismo da parte dei ragazzi della mia età.] A mio parere rapportarsi con persone di generazioni differenti diventa uno scambio quotidiano tra esperienza e freschezza, tra ragione e istinto. 2. Nella vita aziendale le differenze generazionali contano relativamente, almeno dal mio punto di vista. In un mondo in continua evoluzione è necessario che tutti si adeguino, chi incrementando le proprie conoscenze (come nel mio caso), rapportandosi a persone che hanno un’esperienza maggiore, chi adeguandosi a nuove modalità di approccio alle sfide quotidiane. Credo che opportunità e rischi vadano di pari passo. Se uno non rischia, perde un’opportunità. Ed investire su idee nuove, fresche, può essere sì un rischio, ma anche una grande opportunità di crescita. 3. Sì, devo ammetterlo. Inizialmente ho evitato di utilizzare emoji nel mio scambio di mail lavorative, ma quando vengono a crearsi rapporti duraturi, è facile che un’emoji scappi anche per un semplice ringraziamento o in risposta a un complimento. Quasi a creare una complicità maggiore. Essendo da poco in azienda (quasi un anno), non ho percepito grandi trasformazioni nella vita aziendale, se non un’apertura continua nei confronti di ragazzi giovani. 4. Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, è difficile immaginarsi tra 20 anni. Potrei essere dove sono ora, potrei ritrovarmi davvero a rapportarmi non con persone ma con robot, chi può dirlo? Il mio essere ambiziosa e la mia voglia di raggiungere sempre risultati maggiori mi portano a sperare che tra 20 anni avrò la possibilità di gestire un team di lavoro, anche se già oggi è difficile pensare a ruoli ben definiti: tutto si trasforma e tutti devono sapere fare tutto (o quasi) e le generazioni a venire avranno sempre qualcosa da insegnare (ma soprattutto da imparare!).