Society Essere umani oggi
Sistemi complessi e dis-identità in una dimensione in cui l'Uomo esce modificato dalle cose stesse che fa.
sintesi
Cosa diciamo quando diciamo “Uomo”, oggi? Una definizione “di comodo” tuttora attuale è quella di Aristotele: l’Uomo come animale che ha linguaggio. L’Homo Sapiens è una realtà organica, neuropsichica, che si è specificata lungo il suo percorso evolutivo nella dimensione, appunto, del linguaggio. Linguaggio come relazione, come stabilizzazione del tempo, come permanenza delle idee, come trasformazione della realtà in apparati simbolici. Questa dimensione del linguaggio è legata a doppio filo al tema della consapevolezza di sé, all’auto-riferimento: l’Uomo ha cioè coscienza delle proprie funzioni relazionali, è – più che “Uomo” – “Uomini”, società. La nostra storia è cioè una storia di gruppi umani: da un mondo antico, in cui gli uomini fondamentalmente si “somigliavano” tra loro, le comunità hanno via via intrapreso un percorso di differenziazione, di scoperta di nuove e diverse dimensioni di sé. Gli Uomini si sono costantemente ri-definiti, ri-plasmati in base a ciò che spazio e tempo li hanno via via chiamati a fare (pensiamo solo al confronto arcaico con gli elementi naturali), portando così all’emersione di nuove abilità determinate dai nuovi contesti. Complessificandoci, ci siamo conosciuti meglio, ci siamo quindi “individuati”. Le due grandi scoperte della modernità sono proprio queste: individualità e libertà. Ma attenzione: l’era contemporanea ci dimostra come questa costante mutazione non sia più dettata solo dalle emergenze esterne ma anche da emergenze da noi stessi prodotte. Pensiamo a un manufatto (un tempo la selce scheggiata, oggi una tecnologia digitale): la sua costruzione risolve sì un problema ma, dall’altra parte, genera a sua volta un feedback verso noi stessi. La dimensione tecnologica è insomma una mutazione di ambiente tale per cui l’Uomo esce modificato dalle cose stesse che fa. La formulazione più appropriata per la società contemporanea – società complessa e ad alta differenziazione – può dunque arrivare dalla teoria dei sistemi: non abitiamo più un passato fatto di funzioni distribuite dentro a un unico spazio comune dai confini definiti, ma abitiamo un presente fatto di sistemi tra loro distinti e solo in parte comunicanti. Il sovraccarico delle funzioni tradizionali ha infatti prodotto sistemi disgiunti (il sistema finanziario, il sistema del diritto, il sistema politico), sfere tra loro indipendenti secondo un modello non più gerarchico quanto piuttosto cibernetico, in cui gli altri sistemi sono – dal punto di vista di un singolo sistema – ambiente. Che succede a un soggetto che vive e si muove in una società del genere? Gli succede di dover “giocare” tra sottosistemi diversi senza di fatto appartenere a nessuno di questi, uscendone così lacerato, diviso. “Chi sono Io?”, al di fuori di questi ruoli parziali. È il tema della dis-identità, della distribuzione molecolare degli individui. Per rifarci criticamente a Bauman, a essere “liquidi” non sono quindi i sistemi (che sono invece fortemente stabilizzanti e capaci di assorbire crisi senza infrangersi – pensiamo al sistema finanziario), quanto semmai le persone, frammentate tra i sistemi stessi, poste dinanzi a un orizzonte di “offerta” cognitiva che eccede le loro facoltà e le porta nevroticamente a temere quella stessa libertà che esigono. Come lenire questa scissione dell’Io, questo dolore sociale, e consentire alle persone di essere compiutamente se stesse? L’organizzazione efficiente è quella che riesce a valorizzare al massimo chi vi è dentro; e al di là di una fascia elitaria per cui la flessibilità del lavoro significa il privilegio di “cambiare per crescere”, occorre fare dono a tutti i livelli – partendo proprio “dal basso” – dei valori dell’inclusione, dell’equità, della auto-realizzazione.