L’aritmetica delle (em)opzioni

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Ad ogni opzione corrisponde una reazione: ma quando la somma degli OR genera ORO?

sintesi

La complessità e la varietà delle alternative possibili riempiono appunti, pile di documenti e presentazioni. E in fase di progettazione è bello così, è giusto così. A patto però che nel file “_def” sappiamo trasformare gli “OR” in “oro”.

Penso a tutte quelle volte in cui, in un processo di progettazione, si cercano soluzioni alternative ad un problema, o modalità diverse per cogliere evoluzioni ed opportunità. Quante sono le possibili incognite e variabili? A che punto è lecito e ci è consentito fermarci nella fase di creazione delle ipotesi, degli scenari, certi di avere davanti un numero sufficiente di opzioni per ottenere un buon risultato? Quando occorre sommare e quando invece sarebbe meglio sottrarre?

Quando possiamo “contare” sulle alternative individuate? Credo non si possa avere una certezza matematica, ma pensando ad un momento creativo come un brainstorming, ha senso in una fase iniziale incoraggiare il maggior numero di idee, senza preoccuparsi in maniera stringente della reale fattibilità di quanto riempie fogli, lavagne e slide. Senza preoccuparsi dunque di far tornare i conti. E soprattutto, ha senso favorire ed evidenziare eventuali connessioni latenti tra idee diverse. Anche qui sta la potenza della collaborazione: agganciare i percorsi delle proprie sinapsi a quanto appena detto da un collega, per trovare nuovi percorsi e nuovi stimoli che “abbiano i numeri”.

Una traiettoria ricca di OR, alternative che lastricano il sentiero per giungere ad una soluzione inedita, un insight, un naming, la progettazione di un nuovo servizio. Prima che subentri una fase razionale e più ancorata alle dimensioni del “fattibile”, crogioliamoci un po’ nella proliferazione di OR, una complessità primordiale in cui andare a scovare quelle idee che giocano a nascondino. E in questa fase dell’OR, possiamo permetterci il lusso di non preoccuparci che dei possibili OK potrebbero diventare a breve dei KO.

Già, perché l’OR che propongo io – la mia idea, la mia alternativa – accende la scintilla per l’attivazione di un altro OR, oppure la mia idea unita all’idea di qualcun altro assume nuove significati che scatenano altre riflessioni e così via.

Mi viene in mente la rivolta con i fiori creata da Banksy, in cui si liberano creativamente molteplici significati generati dall’unione di simboli diversi, di OR appunto: molotov O fiori, rabbia O amore?
Dopotutto le opzioni ci circondano, viviamo nell’epoca della selezione infinita: dalle poche e preziosissime Polaroid seppiate dei nostri genitori siamo passati agli innumerevoli selfie “effettati alla Instagram” (magari proprio seppiati!). Scattiamo a ripetizione foto digitali con i nostri smartphone, tanto i bit non si pagano, ne facciamo quante ne vogliamo per poi scegliere: meglio questa O quella O quell’altra ancora?

È curioso notare come, non solo per i nativi digitali, ormai si assumano comportamenti e reazioni che si basano da un lato su infinite opzioni, dall’altro su dicotomie secche (mi piace = like / non mi piace = scroll).

Eppure anche un big come FaceboOK sta “complicando” la faccenda del like: si torna spesso a parlare di una imminente introduzione del tasto dislike mentre da pochi giorni sono arrivate le “reactions”, 5 nuovi modi di esprimere il proprio sentire nei confronti di un contenuto… dall’amore rappresentato da un cuoricino, alle emoji per manifestare gioia, sorpresa, tristezza o rabbia.

Una tendenza ormai diffusa alla personalizzazione estrema, ad aggiungere elementi e alternative che generano una sorta di complessità. Ma come non temere che la proliferazione delle alternative degeneri in confusione frammentata? Arrendiamoci. In parte, non può che essere così. E proprio per questo la complessità si innesta sempre di più in contesti che registrano tra i need profondi una tensione alla semplificazione o, quantomeno, a gestire la complessità latente ed endemica.

Viene naturale pensare alle parole di Don Norman, che tra le altre cariche ricoperte è stato anche Vicepresidente del gruppo di ricerca sulle tecnologie avanzate per la Apple Computer, quando disse “Perché abbiamo bisogno della complessità? Perché il mondo è complesso. E come possiamo padroneggiare la complessità? Con il design”.

Cerchiamo la giusta direzione seguendo una progettazione organica e sistemicaprototipizzataritarata e in continuo movimento per gestire la complessità anche nei progetti dei Clienti per i quali lavoriamo tutti i giorni in Logotel, tentando di non perdere di vista un approccio alla “Don’t make me think” di Steve Krug, non solo per progettare piattaforme di servizi digitali come le business community, ma per creare sempre servizi realmente utili per le persone e per le aziende.

Ci muoviamo a metà strada tra Re Mida e il Mago di Oz, trasformiamo gli OR in oro, con metodo e magia. E per farlo, non possiamo che contare sugli stessi protagonisti del celebre romanzo: curiosità, cuore, cervello e coraggio. Interrogandoci continuamente.

Dopotutto, il momento delle alternative ha sempre affascinato l’uomo alla ricerca di risposte e le sue arti.

To be OR not to be, scriveva qualcuno.

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