Robotizzazione dei contenuti: la deficienza artificiale

Future Robotizzazione dei contenuti: la deficienza artificiale

L'automazione si sta diffondendo sempre più velocemente in sempre più campi. Ma siamo sicuri che non sia solo un'operazione di marketing? Ne parla Thomas Biallas.

  • L'intelligenza artificiale è più una costruzione di marketing che una reale rivoluzione tecnologica.
  • Ci sono però alcuni campi nei quali l'applicazione dell'AI è più o meno efficacie.
  • L'automazione dei contenuti produce risultati rapidi, economici e (almeno a prima vista) efficaci.
  • L'automazione del commercio sta rendendo ancora più comodo fare shopping con il passaggio dall'e-commerce all'a-commerce.
  • L'automazione del monopolio si nutre dei nostri dati per poter fornire contenuti sempre più targettizzati, dei quali spesso non si conoscono neppure le fonti.
  • L'automazione della selezione facilita le aziende nelle assunzioni ma "dimentica" che molte imprese devono il loro successo anche alle affinità elettive della squadra, dunque alchimia discrezionale, non computabile dalle macchine.

Asino chi legge contenuti generati dall’asino per antonomasia. La macchina, che da quando gira per le imprese con lo stemma AI (artificial intelligence) in bella vista non di rado riesce a prendere per il naso anche i manager più smaliziati. L’intelligenza artificiale è in voga, e i contenuti automatizzati in pieno mainstream, supportati da uno storytelling senza precedenti e gonfiati dai media bisognosi di sensazionalismo a buon mercato (come scrisse il grande Karl Kraus: “Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista”). Nessuno sospetta che sia puro marketing e nessuno si prende la briga di approfondire seriamente il tema. Eppure bisognerebbe. A oggi la scienza non è neanche vagamente riuscita a capire e spiegare l’intelligenza umana figuriamoci a simularla. Quasi tutti si fanno abbagliare dalle “macchinose” intelligenze singole (buone per specifici compiti) invece bisognerebbe ritornare alle umane intelligenze multiple del grande psicologo e cognitivista Howard Gardner per rendersi conto di che pasta siamo fatti. Lo ripeto da anni e in ogni occasione: umani stupidi prenderanno ordini da macchine altrettanto stupide spacciate per intelligenti con tutti i rischi connessi. Intanto però succedono cose in termini di sostanza automatizzata. 

Automazione dei contenuti.

“Can algorithms write your content?” Si chiede la società di consulenza Futurecontent. Certo che sì, ma come? Ho provato Articoolo, il robot giornalista (un software, dai) della startup israeliana che aiuta a generare contenuti sul web, su un tema semplice semplice: l’annata 2017 di Roger Federer. Ho ricevuto il pezzo di 500 battute in 5 secondi netti. Non mi attendevo il livello di un Gianni Clerici ma neanche un noioso resoconto senza verve. Bocciato. Ma intanto è lì che andiamo a parare: i contenuti automatizzati sono rapidi, economici e (a prima vista) efficaci. Automated Insights, per dire, produce oltre 3.000 articoli al trimestre per clienti come Microsoft e Yahoo.

Automazione del commercio. Se i consumatori esternalizzano, o meglio delegano i loro comportamenti e decisioni alle macchine, è tempo di parlare di commercio automatizzato, o più suggestivamente del passaggio da ecommerce ad a-commerce? Magazzini automatizzati, consegne predittive, applicazioni che assistono la ricerca, la scelta e la negoziazione dei prodotti o della gestione finanziaria , assistenti digitali e vocali che ci affiancano nella shopping experience, nel disegno personalizzato del prodotto e tanto altro ancora. Le implicazioni di questa tendenza sono e saranno tante. Ovvero: automated convenience, vera comodità automatizzata.

Automazione del monopolio. Monopolizzazione tramite automazione. Ogni contenuto che consumiamo consuma anche i nostri dati. Per dire: ogni click, ogni “mi piace" rivela qualcosa su di noi. Chiunque legga qualcosa su "Kindle" viene anche letto da “Kindle". Stesso discorso per Netflix. Per non parlare di WeChat che conosce gli utenti molto meglio di Paypal, Uber o della stessa Facebook grazie alla concentrazione di contenuti e servizi erogati. Insomma, gli algoritmi, gli analytics delle mega piattaforma ci conoscono sempre meglio, il che ci porta alla inevitabile monopolizzazione. Facebook così come Google e Alibaba investono pesantemente (bilioni!) nel settore dei media (streaming, video, musica, ma anche pagamenti) con l’obiettivo di controllare l’erogazione mirata di contenuti e business commerciali. Non solo: se chiedi ad Alexa di Amazon Echo un volo aereo diventa irrilevante sapere quale fonte o applicazione Alexa stia usando. Ovvero: i fornitori di contenuti e applicazioni perdono il loro potere (se Amazon cambia i fornitori da un giorno all' altro, l'utente potrebbe anche non notarlo). Fonti attendibili? Irrilevanti quando domina un interfaccia vocale.

Automazione della selezione. Nella Silicon Valley sono già 130 le start-up censite da CB Insights come People analytics specialists. C’è di tutto e di più ma per tutti il tema è abbandonare gli obsoleti (per loro) criteri di valutazione discrezionali, cv “dopati” di esperienze e skill fuorvianti per sostituirli con parametri attitudinali che misurano le vere abilità. A quel punto che tu sia laureato a Harvard o sia una semplice badante poco importa. Il dato è tratto e l’algoritmo non mente, ma forse non vede al di là del proprio naso analitico: molte imprese devono il loro successo anche alle “affinità elettive” della squadra, dunque alchimia discrezionale.

Potrei continuare all’infinito ma è finito lo spazio. Ciao.